I grandi dottori della Chiesa meditavano su “come sono effimere le cose del mondo”…
Oggi gran parte del mondo politico italiano, che da troppi anni dimostra inettitudine, pochezza ideale e progettuale e mancanza assoluta di un alto senso delle Istituzioni, ha evidenziato una ulteriore, grave deriva e caduta di stile. La dipartita del sen. Silvio Berlusconi ha innescato infatti un autentico inno di lode e di stima per il defunto, e ciò sia da parte di sodali ed ex estimatori che da parte di politici già avversari all’acqua di rose, tutti comunque d’accordo nel tributare un omaggio all’ex premier, al fine di mettere in risalto un atteggiamento rispettoso ed un apprezzamento per le (supposte e presunte) doti, qualità e meriti e per i risultati che il nostro avrebbe dimostrato nella sua quasi trentennale attività politica al servizio del popolo italiano. Mondo politico, insomma, tutto proteso a valutare assolutamente meritoria l’azione di governo di questo (per me controverso e divisivo) uomo politico.
Personalmente, fin dai primi anni ’90, ho sempre aspramente criticato, sulla stampa e sui ‘media’, l’azione del noto tycoon, lungi da me quindi, in questo momento, il “servo encomio”. Di fronte alla morte, il sentimento che dovrebbe prevalere -anzi DEVE prevalere- in ogni persona è quello della umana pietà e di condivisione al dolore di famigliari ed amici; per i credenti, poi, è d’uopo la recita di una prece a suffragio di chi non c’è più. Questo, però, non esclude la valutazione, anche a caldo, della condotta politica di un uomo che, purtroppo, ha segnato nel profondo la nostra vita e quella della nostra povera Italia. E nel far ciò sarebbe bene escludere tassativamente l’ipocrisia di cui, in queste ore, viene fatto un uso veramente squallido e stucchevole. Oggi non sarebbe proprio il caso di soffermarci sul dettaglio delle azioni dell’uomo e di quello che di negativo si potrebbe rilevare (e c’ è una miriade di atti, di atteggiamenti e di pronunciamenti non propriamente commendevoli).
La domanda che, a mio modesto parere, ci si dovrebbe porre in modo molto semplice, nel giorno della scomparsa di un tale personaggio, è la seguente: “L’uomo di Arcore è stato davvero, come i suoi ‘turiferari’ vogliono far credere, ossia un politico che ha fatto il bene degli italiani mantenendo le promesse elettorali, soprattutto con la introduzione di una politica veramente ‘liberale’?”. O non è stato invece l’uomo che si è servito della sua carica di Presidente del Consiglio per tutelare i propri rilevantissimi e multiformi interessi e scansare così i rigori della Legge (la cui osservanza ed azione egli ha sempre considerato espressione di accanita persecuzione e punitiva nei suoi confronti)? Credo proprio che la verità la si riscontri nel secondo quesito!! Tanto più che la promessa ‘liberale’ si è andata trasformando in un malsano ‘corporativismo’, dannoso per le classi meno abbienti.
L’impresario edile, l’immobiliarista, il ‘patron’ sportivo, il tycoon televisivo, l’editore e, soprattutto, l’uomo politico, di cose eclatanti ne ha fatte, da molti sovente considerate opache se non ‘oscure’ (si pensi solo ai capitali liquidi ottenuti in modo poco chiaro e controverso, oppure alla subitanea scomparsa dalla ‘Centrale dei Rischi’ delle enormi esposizioni debitorie, improvvisamente sparite…). Per non parlare poi dell’acquisto della dimora di Arcore dalla contessina Casati Stampa di Soncino. Infine, va sottolineato il suo miracolistico uscire da oltre una trentina di processi in cui è stato coinvolto, con accuse anche infamanti; ma si sa come le 72 leggi ad personam che i sodali hanno approvato a tamburo battente per ‘suo uso e consumo’ siano state una vergogna sotto il profilo giuridico ed abbiano consentito, almeno in parte, il realizzarsi del miracolo. Altro capitolo riguarda gli impedimenti per i compiti istituzionali che hanno contribuito non poco a provocare certe prescrizioni. Solo una sentenza, per reati di natura fiscale, è stata di pesante condanna definitiva e lo si è dovuto all’acume ed alla perspicacia di una giudice della Cassazione. Il tutto con la decadenza da senatore per effetto della legge Severino e la condanna a blandi servizi sociali con pena abbuonata per ben tre anni… E’ seguita la riabilitazione ed il nuovo ingresso al Senato (prima di un breve passaggio al Parlamento Europeo).
Ma, oltre ogni possibile valutazione su quanto l’uomo ha fatto, preme sottolineare l’episodio delle dimissioni presentate la sera del 12.11.2011 allorquando l’Italia stava sull’orlo del baratro, con lo spread alle stelle ed il pericolo di default era davvero reale, con il rischio di non poter pagare stipendi e pensioni. Ed una tale situazione non era forse imputabile, almeno in gran parte, all’ultimo dicastero presieduto da Silvio Berlusconi? A spingerlo a recarsi al Quirinale ed a gettare la spugna sembra siano stati due interventi decisivi: quello del Rag. Ennio Doris, socio del nostro in Mediolanum, il quale gli avrebbe detto: “dimettiti subito, altrimenti affondiamo”; a tale perentorio invito, avrebbe fatto seguito una telefonata del figlio Luigi da Londra, dove operava nella Alta finanza della City, che lo avrebbe apostrofato così: “Papà, dimettiti se non vuoi che saltino anche le nostre aziende”. E quella sera il nostro uscì dal Quirinale fra le urla e lo scherno di una multitudine di cittadini arrabbiati. Dopo qualche tempo, il nostro dette la sua spiegazione sulle cause e gli eventi di quel 12 Novembre 2011: si sarebbe trattato di un complotto ordito ai suoi danni dalla Finanza Internazionale…
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Le 72 leggi ad personam restano la vergogna di deputati e senatori della CDL, leggi salvacondotto per l’ex premier. Di quelle leggi vergogna il Centro Sinistra non ha potuto o voluto effettuare alcuna revoca, nonostante le solenni promesse…
L’ipocrisia odierna nasconde, da parte di certa classe politica, una mala fede di fondo!! A chi sostiene che la sig.ra Meloni è l’erede del defunto, ricordo il recente “Non sono ricattabile, pronunciato irosamente dalla attuale PdC al chiaro indirizzo del politico ora scomparso.
Anche quest’anno l’autore ha voluto mantenere una prassi ormai consolidata: arricchire la sua collana di libri aventi cadenza annuale, aggiungendo anche il tassello del 2023 ed offrire così ai suoi 25 lettori di manzoniana memoria la continuazione di un legame che si è rivelato molto soddisfacente con il plauso di estimatori sia locali che dell’intero comprensorio. Quest’anno, la narrazione riguarda la storia del “Popolo errante, senza patria” ed il lavoro si compone di tre parti (trilogia), strettamente collegate fra loro e recanti i seguenti titoli:
– “Frammenti di storia del ghetto di Venezia”;
– “La diaspora, I sentimenti, gli amori di un popolo ostinato, dalla ‘dura cervice’”;
– “La vita, I drammi, le sofferenze, le cadute, le ‘rinascite’ delle famiglie Cohen Karnowskin e Jacob Barlev”.
Si tratta di episodi e fatti avvincenti e coinvolgenti che, accanto a riferimenti storici ben precisi, mettono in risalto varie figure di protagonisti, parto della fantasia dell’autore ma le cui vicende ben si inseriscono nel contesto storico di un’epoca invero assai lunga, vissuta in cattività; un popolo, insomma, coriaceo, mai domo, aduso ormai a subire tutte le avversità ed i soprusi, ma sempre pronto a risollevarsi orgogliosamente ad ogni caduta ed a dimostrare, a chi lo aveva vinto e vilipeso, quali fossero le preclari qualità del “popolo eletto”. Nell’intreccio di eventi e nelle more e nel susseguirsi della trattazione, vengono posti in luce e sottolineati diversi legami sentimentali ed affettivi che univano alcuni protagonisti alle loro partner e ciò in ambiti storici e geografici assai differenziati.
Tutto questo sempre tenendo presente il clima repressivo che il concetto stesso di ‘diaspora’ recava in sé, con il vorticoso alternarsi di pericoli, di paure, di prove inenarrabili cui erano costretti a vivere, in un ritmo da cardiopalmo, coloro che erano legati da così elevati sentimenti e da un rapporto affettivo/amoroso comunque entusiasmante; rapporto d’amore reso stimolante, allettante ed invogliante, e quindi collaudato, proprio per le difficoltà insite nel suo estrinsecarsi e nel permanere di uno stato d’ansia, di timori e di sempre possibili vessazioni, angherie e persecuzioni. Ma a fronte di un tale stato di cose, di tali prevaricazioni, sarà sempre l’amore ad averla vinta… Il racconto appare, insomma, sotto questo profilo, come una lunga serie di alti e bassi, come una congerie di fatti pieni di ‘pathos’, su cui però la spuntano sempre i ‘buoni valori’ e gli ‘elevati sentimenti’ appresi alla scuola delle rispettive famiglie ed alla sequela di una Fede religiosa intensamente vissuta.
Anche quest’anno l’autore ha voluto mantenere quella che è ormai diventata una prassi consolidata: arricchire la sua piccola collana di libri con cadenza annuale ed offrire così ai suoi 25 lettori di manzoniana memoria la continuazione di un legame che si è rivelato per lui molto soddisfacente attraverso il plauso degli estimatori sia locali che dell’intero comprensorio. La narrazione riguarda e si impernia sulla storia di due nuclei famigliari ‘affini’- i Della Stua ed i De Taddio – (ora, purtroppo, estinti) dalle cui fila sono usciti i principali personaggi assunti a protagonisti delle vicende ivi narrate. L’ambientazione riguarda il nostro territorio ed un lasso temporale che abbraccia l’inizio del secolo scorso, il successivo periodo della Grande Guerra ed infine gli anni ’20, con l’avvento della dittatura e la persecuzione subita dall’eroico primo protagonista, il maggiore pluridecorato Pietro Della Stua, e dalla intera sua famiglia.
Si tratta di storie avvincenti e coinvolgenti che mettono in risalto pregi, virtù ed eroismo del citato ufficiale superiore e della sua compagna, coinvolta in un impegno patriottico altamente rischioso. Nell’intreccio degli eventi e nelle more della trattazione, vengono posti in luce e sottolineati i legami sentimentali ed affettivi che legavano (e legano) i due protagonisti destinatari di una perigliosa missione affidata loro dal comando della 8a Armata in territorio occupato dal nemico. L’intreccio degli eventi, i drammatici fatti occorsi all’intero duplice nucleo famigliare, i legami affettivi in ambito ‘parentale’ e l’idilliaco amore che lega i due co-protagonisti, fanno dello scritto un vorticoso alternarsi di pericoli occorsi, di paure e prove inenarrabili e, di contro, di “sentimenti elevati” e di “buoni valori” che, alla fin fine, avranno la meglio su tutte le sofferenze e le avversità affrontate nel lugubre periodo dell’invasione, definito anche come anno della “fame” o anno della “pellagra”(malattia desquamatoria sofferta per mancanza di certe vitamine assenti nella misera dieta di quei tempi).
Ma dopo tante ansie, timori, paure e vessazioni, quando la vittoria pareva arridere anche ai nostri personaggi, ecco che si appalesano altre inaspettate ed imprevedibili prove e difficoltà: arriva infatti la dittatura con il suo carico di vessazioni e persecuzioni anche per i due eroi (oltretutto, superdecorati). Tuttavia, alla fine, i nostri protagonisti riusciranno a superare anche queste frustranti ambasce e difficoltà e si rifaranno una vita piena di soddisfazioni, seppur lontano dalla Patria tanto amata e per la quale tanto avevano dato e sofferto. Il racconto appare insomma come la descrizione di una lunga serie di alti e bassi, una congerie di fatti pieni di ‘pathos’ su cui, comunque, la spuntano sempre i “buoni valori” e gli “elevati sentimenti”, sempre vissuti alla luce del Vangelo e tenendo presenti gli insegnamenti e l’esempio dell’ottimo pievano Don Vincenzo, loro vero maestro di vita.
(Sintesi 2019: fatto 100 il numero di presenze totali del Veneto, ai comprensori spettano le seguenti quote: Mare 35,6%, Città d’Arte 35,7%, Lago 18,4%, Montagna 6,0% e Terme 4,4%.)
Del fatto che il comprensorio Montagna non possa vantare più del 6,1% delle quote delle presenze totali in Veneto, calate al 6,1% del 2022 (6,0% nel 2019) dall’11,4% del 2000 (il calo non è solo nella quota ma anche nel numero assoluto di presenze) lo abbiamo già visto nel precedente post sull’argomento. Cala anche il Mare che nel 2000 poteva vantare una quota del 45,2% e il Terme che ne vantava il 6,7%. Ad aumentare è il Lago che raggiunge il 19,8% (18,4% nel 2019) e soprattutto il Città d’Arte che arriva al 31,8% (ma nel 2019 aveva raggiunto il 35,7%: durante la pandeminkia la bastonata più grande se l’è presa proprio il Città d’Arte).
Nella seconda tabella le variazioni percentuali delle quote non più anno per anno ma riferite al 2000 preso come anno base; i trend dei vari comprensori sono inequivocabili fino al 2019, poi si manifesta la scossa del covid che penalizza il Città d’Arte e “premia” il Lago. Guardando dunque sensatamente al 2019 il Mare vede la sua quota diminuire del 21,4% (rispetto al 2000) mentre il Città d’Arte e il Lago hanno un guadagno di quota pari rispettivamente al 67,8% e 18,7%. Un taglio netto si manifesta per il Terme che dal 2000 perde il 33,6% della sua quota e soprattutto il Montagna che subisce un -47,6% (passando dall’ 11,4% della propria quota nel 2000 al 6,0% nel 2019).