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Il tabià - Al tabià


By ddm - Posted on 18 February 2010

Introduzione

I tabiàs erano costruiti per stivare il fieno falciato in alta montagna e in zone lontane dall'abitato e rappresentavano la costruzione più comune visibile in ogni estensione prativa del territorio, sia nel fondo valle che in quota fino ai 1800-1900 m slm. Tutte le zone prative del comune venivano sfalciate ed il fieno veniva raccolto nei tabiàs. Nel corso dell’inverno si andava a prelevare il fieno ed anche la legna, utilizzando una slitta grande chiamata luóida, il mezzo di trasporto per eccellenza, che doveva essere portata sulle spalle fino al luogo di carico. Scherzosamente, la mattina della partenza, si decideva chi si doveva accollare la luóida, ovvero chi che dovèa portà la crós. Arrivati a destinazione e preparato il carico da avvallare iniziava la discesa che, per molti tratti, costava più fatica che non il salire. Tirare nei tratti pianeggianti e trattenere in quelli molto ripidi metteva a dura prova il conducente ed il mezzo.

Ogni cautela veniva usata per evitare incidenti che in qualche caso si rivelavano mortali. Chi non possedeva un tabià sul proprio colenèl o lo possedeva, ma in zone difficilmente accessibili, stivava il fieno o la legna nel tabià d'altro proprietario. I tabiàs erano addirittura costruiti su fondo altrui a seguito di un accordo, il più delle volte verbale, fra le parti. A tal proposito si possono menzionare i tabiàs de Soracrepa, tutti costruiti nelle vicinanze della strada del Genio e sui poderi di pochi proprietari. Molti andarono distrutti da un incendio nell'inverno del 1961-62.

La costruzione dei tabias
La costruzione dei tabiàs, frutto di una faticosa opera artigianale, era prerogativa d'alcune famiglie paesane (chi de Bernardìn, chi de Madèrlo e chi dei Zerve), tradizione che si tramandava di padre in figlio. La bravura era scegliere il legno adeguato ed utilizzarlo al meglio. Resta in ogni modo inteso che i tabiàs non erano costruzioni troppo raffinate; infatti, servivano quasi esclusivamente alla conservazione del fieno e della legna, fatta eccezione per il periodo della fienagione, durante la quale si utilizzavano anche come alloggio.

Il fienile di muro e legno
Tabià con piano terra in muratura e parte superiore in legno: questa costruzione si localizzava nei dintorni delle zone abitate, di facile accesso e con vasta proprietà. Il piano in muratura era adibito a stalla ed aveva sulla parte anteriore piccole feritoie, normalmente due, a mo' di finestre. Il piano superiore in legno era detto medéna e vi si depositava il fieno e la legna. Alcuni erano provvisti di una botola, detta fenìl, per far scendere il fieno direttamente nella stalla sottostante. Questo tabià era utilizzato al ritorno dalla monticazione estiva fino alle prime nevicate. Fungeva sovente anche da piccola latteria familiare.
 
Il fienile di legno
Il tabià ad un unico piano; era costruito nelle zone meno vicine al paese. Vi si stivava il fieno e la legna preparati durante l'estate. Serviva anche da rifugio presso il quale soggiornare durante lo sfalcio estivo. Se il luogo ove si costruiva non era pianeggiante, il tabià era appoggiato su due pilastri che potevano essere sia in pietra che in legno. Lo spazio sottostante era detto mandrìzo e si utilizzava per stivare gli attrezzi e una piccola scorta di sàndole per la copertura del tetto. Per l'intera durata dello sfalcio fungeva anche da ricovero per le capre. Alcuni tabiàs si differenziavano inoltre per dei tratti caratteristici. Sul davòi de l tabià, in corrispondenza del lato più corto, all'altezza di 2,50 m, veniva costruita una sporgenza sempre chiusa, detta magón. Era utilizzata per porre ad asciugare il fieno non ancora completamente secco o delle particolari erbe che non si dovevano mischiare con il fieno. Spesso il tabià era composto di un'altra costruzione attigua detta penízo. Era in legno e con ingresso separato, perché appartenente ad un altro proprietario.

La costruzione del fienile

Si utilizzava legno di larice o di abete che si raccoglieva quando se avea fato la luna de aosto. Il legname, tagliato fuori stagione, assumeva delle colorazioni nerastre, l se vestìa da prèe e oltre che essere antiestetico, dava luogo ad un deterioramento più rapido, ovvero i tràve i se carolea a le svelte. Il tetto era fatto si sandole di larice ottenute spaccandole manualmente e montandole sovrapposte in modo che solo un terzo della sandola fosse esposta alle intemperie. In questo modo era assicurata la miglior tenuta nel tempo. Sulla testata della cólmin, sopra la porta d'ingresso, s'intagliava una croce in segno di devozione e protezione. Internamente, sempre sulla cólmin, s'incideva la scritta L.D.S. (Laus Deo semper, lode a Dio sempre) seguita dal giorno, mese e anno relativo al completamento del tabià.

 

Ntroduzion

I tabiàs vegnia dorade par bete al fien fato d istade a monte e agnó che era pras (dute vegnia seade d istade) anche su l auto. D autono e d inverno se dea a tole al fien e le legne che era stade meteste nte i tabiàs fora dal paese dorando la luoida che vegnia portada su a spale fin agnó che se dovea fei al càrego. Par ride, la bonora prima de partì, se decidea chi che dovea portala su la schena “che dovea portà la cros”. Ruade n zima, se ciareea fien e legne e se tachea a vegnì n do, zecando de dì pianeto parché no suziede desgrazie.  Chi che no avea n tabià nte al so colonel dorea chi de chi autre. Tante ote al tabià vegnia fato su chel de chi autre: bastea metesse dacordo: par esenpio i tabiàs de Soracrepa era dute visin de la strada de l Genio su l teren de poche paroi. Tante é stade brusade nte l incendio nte al 1961-62 .

Par fei su al tabià
Era poche famee che savea fei su n tabià e che se tramandea da pare al fiol come fei: chi de Bernardìn, chi de Maderlo e chi dei Zerve. Prima de dute se dovea ciatà al len giusto e doralo meo che se podea. Al tabià po vegnia dorou anche par dormì, d istade cuanche se fasea al fien nte i pras visin e se dormia sul fien.
 
Al tabià de muro e len
De solito i era visin del paese e de le ciase: la parte de muro servia da stala e l avea doi fenestrute davante. Sora l era de len e al vegnia ciamou medéna: al servia per bete fien e legne. Sul siolo era n bus par parà do al fien nte l fenil e dà da magnà a le bestie che stasea nte stala. Se dorea sto tabià cuanche se tornea dó da Monte e fin a la prima neveada. Calche ota se fasea ca anche l formai par la famea.
 
Al tabià de len
Al tabià de len co n pian solo vegnia fato su nte dute i pras fora del paese. Vegnia metesto inte al fien e le legne fate d istade e vegnia dorou par dormi cuanche se fasea al fien davesin. Sote al tabià de len é al mandrizo agnó che se betea fau, restiei e calche sandola se servià giustà al cuerto. Davoi del tabià vegnia fato su al magon che servia a bete al fien che no se era suiou.  Tante ote al tabià l avea tacou n penizo de len co na porta sua e che vegnia dorou da n autro paron.

Par fei su n tabià
Se dorea len de laris o de pezuó che se dovea taià cuan che se avea fato la luna de agosto parché se se to taiea fora stagion al vegnia negro, “l se vestìa da prèe e i trave i se carolea a le svelte. Al cuerto al vegnia fato co le sandole de laris dordolade, montade n terza parché così le durea de pì. Sul cólmin, sora al porton, se intaiea na cros par domandà protezion e inte le letere L.D.S. (Laus Deo semper, lode a Dio sempre) co al dì, al mes e l an.