Albergo Diffuso (o del ‘andate a farvi fottere’)
Quelli dell’albero diffuso (qui e quo) sono ancora tra noi. Se non ci sono arrivati finora, non c’arrivano più. Soprammobili. Li potete anche spolverare e lucidare. Magari hanno un bell’aspetto, gradevole, ma so’ de coccio.
Qualche testa di cazzo dirà, perché lo dirà, che “allora i tempi non erano ancora quelli buoni”. Ma il problema non è “della” testa di cazzo che lo dirà (perché lo dirà) ma “delle” teste di cazzo che gli crederanno.
Preciso: io ho sempre sostenuto che l’Albergo Diffuso è una faccenda tra privati, il pubblico non c’entra niente. Vi sono tuttavia delle circostanze, in particolare in comuni poco inclini alle attività turistiche – Lozzo è uno di questi – dove il Comune deve funzionare da catalizzatore, facendo da “apripista”, mostrando la strada e favorendo l’aggregazione dell’AD.
Se i privati “non ci sono” o non hanno il “coraggio” necessario, la mia risposta è stata ed è: andate a farvi fottere. Se il Comune non ha inteso mettersi in gioco, la risposta è analoga: andate a farvi fottere.
Per la Gente di Lozzo, facili profeti, perché la via dell’AD era chiara allora com’è chiara oggi, uno stimolo l’aveva messo in campo (dal programma elettorale presentato il 6 giugno 2009):
l’albero diffuso (bis)
(qui la prima parte della favoletta titolata “l’albero diffuso”)
Quella volta, forse con un fare un po’ troppo spavaldo, dissi loro: “Dai che ve lo faccio vedere, dal vivo, come funziona“.
E lessi subito nei loro occhi una fuggevole ansia, che sfociò di lì a poco in aperto timore, finché la paura prevalse e se la dettero a gambe levate. Che poi, davvero, stavo solo proponendo di andare a Sauris per valutare sul posto com’era strutturato l’Albergo Diffuso (ne sapranno qualcosa no, lì in Friuli, dove l’hanno inventato e lo usano dal 1980!!). E quelli di Sauris… ce l’avrebbero fatto vedere, dal vivo, come funzionava.
Qualche tempo dopo andammo comunque a Sauris, a trovare tra le strade del borgo il Peo da Fornesighe che stava intagliando la Gnaga…
(e no, l’albero diffuso non riuscimmo a trovarlo neanche lì)
l’albero diffuso
Dentro quelle crapone, noi, quel concetto, abbiamo tentato in tutti i modi di farcelo entrare. Ma niente, non c’è stato niente da fare. Abbiamo provato anche col copeto. Avete presente?
Quando uno non c’arriva proprio, di suo, si usa provare con un ultimo disperato artificio detto appunto “proà à meti inte col copeto“. Metaforicamente, con il mestolo (copeto) prelevi da dove ce n’è (pentolona grande) per riempire là dove c’è il vuoto (le tazze o scodelle). Il tentativo risulta spesso “disperato” perché, nella maggior parte dei casi, le teste sono vuote perché “perdono”. E se perdono, non le riempi con nulla.
E questi, dopo averci ascoltato, li vedevi persi: ti guardavano a bocca aperta, stupefatti, con quegli occhioni grandi e languidi. Poi partivano blaterando convulsamente a ripetizione albero diffuso, albero diffuso, albero diffuso prendendo, come automi guidati da un comando d’autodistruzione, la via della discarica.
E ogni tanto, da quella discarica fumante sentivi i loro gemiti: li sentivamo dire “arbre magique” e poi “albero diffuso”. Qualcuno riusciva a dire “arbre magique è l’albero più diffuso”. Una sintesi oggettivamente perfetta.
(ma noi, a loro, abbiamo sempre parlato di alber-g-o diffuso, davvero! Dopo tanti anni è forse giunto il momento di chiederci: quelle crapone, perdono ancora?)