BLOZ - il blog su Lozzo di Cadore Dolomiti

Auronzo di Cadore… ‘stocazzo

31 Ottobre 2019 Cadore - Dolomiti, Giornalando, Turismo e dintorni auronzando, giornalando, turisticando

Per la serie “i luoghi di Un casso dal cielo 5“, vi presentiamo Auronzo di Cadore. In geografia e conoscenza del territorio i suini avrebbero più fortuna. Beh, dai, Auronzo con le immagini proposte non c’azzecca per nulla (a parte gli ultimi 5 secondi), ma il testo (Sorrisi e Coglioni) è un tripudio di euchessina caramelle ambrosoli in grado di conferire ad Auronzo un vantaggio lassativo competitivo mai visto prima. Arriveranno a frotte, incontenibili.

non sono dei coglioni (appunto!)

29 Ottobre 2019 Criticarium Itaglia psico-dramma, quelli-del-PD, supercazzole

Lo zingarello, brutto anatroccolo del pd, è un tacchino che crede d’essere un albatros. Il resto della storia è cosa nota. C’aggiorniamo alla prossima elezione regionale.

MARIO RIGONI STERN, SCRITTORE E PATRIOTA, FIGURA DI GRANDE ATTUALITA’

19 Ottobre 2019 Attualità giuseppe-zanella, la-parola-ai-lozzesi

di Giuseppe Zanella

Mario Rigoni Stern è uno degli scrittori ‘contemporanei’ che più sono apprezzati, ammirati e stimati. Personalmente, amo molto la lettura di autori contemporanei e non, autori di narrativa, autori di romanzi, autori di saggistica e, soprattutto, autori di scritti di natura storica, attinenti magari a eventi con caratteristiche autobiografiche… Ed è quest’ultimo aspetto dell’opera dello scrittore di Asiago che più attrae e coinvolge. Di Rigoni posseggo quasi tutta la sua cospicua e ponderosa opera storico/letteraria, in special modo quella relativa al suo vissuto di soldato, di combattente su vari teatri di guerra, di reduce dal fronte russo, con le inenarrabili vicissitudine relative alla ritirata dal Don, di internato nei lager nazisti, con il retaggio di sofferenze fisiche e morali sopportate con stoicismo e con encomiabile dirittura etico-patriottica.

E di tale personaggio, spesso, leggo e rileggo i suoi “lavori”, riuscendo sempre a trarre nuovi spunti di riflessione e cogliendo aspetti sempre nuovi dalla sua prosa di elevato livello, ma anche così lineare, sapendo egli descrivere con maestria fatti e situazioni intimamente vissuti facendo uso sovente di un tono elegiaco e di una “caratura” poetico-letteraria di assoluto rilievo. Oggi ho riletto “Aspettando l’alba”, una miscellanea di racconti, di ricordi, di sensazioni, di stati d’animo che coinvolgono il lettore per la loro efficacia, per la sensibilità ed acutezza di introspezione psicologica e per la capacità evocativa che l’autore sa mettere in evidenza nell’analizzare i sentimenti e le rimembranze, spesso drammatiche, sconvolgenti e coinvolgenti che hanno visto Rigoni come protagonista.

La struttura del libro si articola essenzialmente in due parti: racconti di guerra e di prigionia da un lato e descrizione della prodiga natura dall’altro lato, con la penna dell’autore che sa alternare e modulare questi due aspetti in un felice contrappunto. Elegiaci e struggenti appaiono certe rievocazioni storiche, ad esempio quella della figura dell’alpino Romedio e della sua mula, che riescono a salvare decine di soldati feriti nella ritirata dal Don. Altruismo ed eroismo sono gli elementi essenziali che caratterizzano questo ed altri episodi. Profonda impressione suscita l’episodio della bottiglia di grappa nascosta dal sottotenente torinese Roero in una trincea di monte Palo e casualmente ritrovata trenta anni dopo dal “recuperante” Albino Vu, amico dell’autore… Scritta con grande maestria ed intima sofferenza appare poi la descrizione del ritorno dell’autore, con moglie, figlio e nuora, sui luoghi che lo videro in “cattività”, soggetto all’arbitrio teutonico di autentici aguzzini: si tratta del lager I/B in terra polacca.

Il vero contrasto, il vero discrimine messo in luce da questa visita è costituito dall’immagine “bucolica” dei luoghi, ora così verdeggianti e pascolo di greggi di pecore “tranquille”, il tutto contrapposto, nella mente del visitatore, alla tetraggine di quella stessa area come appariva 60 anni prima: “un’area di fame, di morte, di miseria, di urla di comando”. Rigoni riesce ad individuare l’area dove sorgeva la sua baracca e dove erano ubicate le varie strutture del campo… Oltre al recinto che ora delimita e racchiude il gregge, sono cresciuti degli alberi di melo selvatico i cui piccoli frutti, caduti per terra, riescono ad essere addentati da alcune pecore. E così anche Rigoni decide di mangiare pure lui una mela, una mela del lager I/B, quasi si trattasse “di un dono che la natura gli offre di diritto come risarcimento di tanta non natura patita”. Sembra ora proprio impossibile che su quel lussureggiante, erboso prato dove ora pascolano tranquille le pecore, un tempo avvenissero cose di inaudita cattiveria e sopraffazione dell’uomo sui suoi simili.

Un cenno particolare merita infine l’idilliaca descrizione dei paesaggi montani intorno al paese dove l’autore è nato e le rimembranze sulla vita agreste del passato, sul fluire inesorabile del tempo e sul susseguirsi delle stagioni, con riferimenti ad una flora e ad una fauna “dipinte” con pennellate da vero, sensibile ‘artista’ dalla penna facile, briosa ed erudita. Ma dove il sentimento risulta esaltato in una “poesia” di alto livello e trasparire nella sua grande efficacia didattico-istituzionale avverso alle aberrazioni dei vari totalitarismi patiti sulla propria pelle, è laddove l’autore saluta i suoi amici Primo Levi e Nuto, l’alpino del Tirano e poi partigiano nelle file di Giustizia e Libertà.

Sono pagine di una bellezza unica, intrise di patriottismo e di forti idealità, molto istruttive circa i valori di una generazione che combatté contro la tirannide al fine di tenere alti i principi fondanti della Repubblica appena nata e basata su uguaglianza, libertà e fraternità. Pagine che andrebbero lette nelle scuole quale insegnamento e monito alle presenti generazioni affinché il sacrificio di tanti valorosi di allora non vada dimenticato e magari reso vano dal ‘revanscismo’ di chi, ora, in buona o cattiva coscienza, per calcolo od ignoranza, il demone del passato lo vorrebbe far rinascere. In questo senso risultano di grande attualità gli insegnamenti e gli scritti di Mario Rigoni Stern e questo suo libro (con l’intera sua opera storico-letteraria) dovrebbe servire ad esorcizzare il ritorno ad un torbido passato.

Vajont e Deputati PD: il pidiota è per sempre

10 Ottobre 2019 Criticarium Itaglia quelli-del-PD, supercazzole, verso-il-default

Il senatore Bagnai, presidente della 6ª  Commissione Finanze del Senato, segnala un tweet dei Deputati PD, account ufficiale del Gruppo del Partito Democratico alla Camera, giudicandoli “più scarsi che da noi”. Ovviamente la scadenza è tale che – d’ordinanza – qualcosa bisogna pur scrivere. Potevano i pidioti farne a meno? No!

Il 9 ottobre 1963 il crollo della diga costruita sul torrente Vajont…

Prima legge del pidiottismo: il pidiota è per sempre.

(lesti, come solo i pidioti sanno essere, l’hanno tosto corretto…)

Screenshot di un tweet pubblicato dall'account twitter dei Deputati PD riguardante il crollo della diga sul torrente Vajont il 9 ottobre 1963

Alla Camera bassa sono più scarsi che da noi. Il tweet è qui: https://t.co/Btjf9SlzTj e la diga crollata (foto a destra) in realtà è ancora lì… pic.twitter.com/uIofFF8jXq

— Alberto Bagnai (@AlbertoBagnai) October 9, 2019

Società Alchimisti Tridentini, giù le mani dai Cadini!

7 Ottobre 2019 Cadore - Dolomiti, Curiosando cai, curiosando, scripta-manent

La SAT ha deciso di togliersi un po’ di polvere dalle spalle rinnovando il logo di casa. La cosa, delicatissima, ha avuto bisogno perfino dell’istituzione di una apposita commissione.

Un “restyling” generale dei propri strumenti informativi, così articolato e profondo, da richiedere il lavoro e la sovraintendenza da parte di una commissione apposita: la Commissione Comunicazione, istituita lo scorso aprile, con il compito di individuare competenze, strumenti, modalità e tempi degli interventi.

La pagina dedicata all’argomento è densa delle tipiche puttanate acclamazioni propagandistiche distillate in queste circostanze, roba che anche quelli dell’Istituto Luce avrebbero avuto difficoltà a coniare. Valga per tutte la funambolica visione interpretativa delle lettere che compongono l’acronimo SAT:

Le lettere che compongono l’acronimo, inoltre, si prestano a simboleggiare graficamente oggetti importanti per il sodalizio: il sentiero, la neve sui tracciati e la corda (S), la vetta, la meta universale e l’alpinismo (A), la piccozza a doppia punta (T).

che, se solo agevoli la cosa con un calicetto di rosso, dentro quell’acronimo ci puoi vedere anche il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo (e con un po’ di sforzo anche la Madonna).

Oltre alla fumante brodaglia appena vista, i nostri, continuando sul sentiero delle alchimie, hanno pensato bene di veicolare la potenza espressiva della novella creazione applicandola a un candido drappo, fatto garrire per l’occasione sul fulgido sfondo del duomo dolomitico per eccellenza, i Cadini di Misurina.

(non si sa ancora se con il consenso della “apposita” Commissione Comunicazione o a sua insaputa 🙂 )

Un po’ come se la Sezione Cadorina di Auronzo del CAI presentasse l’ipotetico nuovo logo facendolo sventolare sullo sfondo delle Dolomiti di Brenta. Niente che non si possa fare, ovviamente, compresa la possibilità di ricorrere al Cerro Torre, ma, visti gli attori in gioco, la mossa apparirebbe quantomeno azzardata.

Della scappatella se ne sono accorti quelli del gruppo facebook “Giù le mani dal Lagorai” il cui amministratore, con cauta temperanza, dileggia il “glorioso sodalizio che usa immagini del Veneto”. Quelli della SAT, secondo copione, diranno che è colpa del grafico il quale, a sua volta, dirà che “ero rimasto senza benzina, avevo una gomma a terra, non avevo i soldi per prendere il taxi, la tintoria non mi aveva portato il tait, c’era il funerale di mia madre, era crollata la casa, c’è stato un terremoto, una tremenda inondazione, le cavallette, non è stata colpa mia, lo giuro su Dio!“… e vissero tutti felici e contenti.

Da parte nostra aggiungiamo solo che, a parte il gruppo dei Cadini in primo piano (dal quale svetta Cima Cadin di San Lucano) ripreso, peraltro, dai piedi delle Tre Cime di Lavaredo, sulla sinistra in secondo piano si può notare il Re delle Dolomiti, sua maestà l’Antelao, mentre sulla destra svetta Punta Sorapiss: peccato che per un pelo non si veda il Rifugio Auronzo alle Tre Cime (sarebbe stato un memorabile poker). 

screenshot dal sito della SAT riguardante il lancio del nuovo logo sullo sfondo dei Cadini di Misurina, 6 ottobre 2019

turismo: Belluno ce l’ha più lungo

4 Ottobre 2019 Cadore - Dolomiti, Giornalando, Turismo e dintorni giornalando, turisticando

Turismo a Belluno, in particolare il periodo di permanenza. Partiamo con un post di Telebelin dal titolo “A Belluno aumentano i turisti” e sottotitolo “Crescono anche i giorni di permanenza in città”.

Ora, se è pur vero che l’unità di misura per la permanenza turistica è rappresentata da “i giorni”, scrivere “crescono anche i giorni di permanenza in città” è una esagerata esaltazione. Si tenga infatti conto che nel 2017 la permanenza a Belluno fu di 2,73 giorni, cresciuti nel 2018 al valore di 2,80: una crescita di 0,07 giorni (in termini percentuali 2,6%). E’ come se entrando in un’oreficeria con l’idea di comprare una collanina d’oro da 8 grammi ci rivolgessimo al negoziante con “mi dia una collanina da 0,000008 tonnellate”. 

Siccome i “titolisti” compongono, per definizione, una categoria dalle larghe fantasie, potremmo aspettarci un chiarimento riguardante “i giorni di permanenza” nel corso del video: ma niente. Anzi, viene servita una ulteriore frittata che compare anche in un articolo dell’Amico del Popolo. Dice l’assessora al turismo, tale D’Emilia, chiamando in causa l’Internazionale socialista:

«Particolare anche la controtendenza sul fronte presenze: mentre a livello internazionale si va verso vacanze brevi e frequenti, a Belluno il periodo di permanenza è più lungo; segno che l’offerta del nostro territorio, dall’ambiente alla cultura allo sport, è molto ampia, e la città viene vista come punto strategico e porta d’accesso a tutte queste diverse realtà». 

Tu sei Belluno, turisticamente poco più di un brufolo (neanche 5 presenze per abitante), ma ti vai a confrontare con il “livello internazionale” dicendo che tu ce l’hai più lungo (il periodo di permanenza, che avete capito?). Confrontarsi con un comparto come le città d’arte del Veneto, verosimilmente il più compatibile con la realtà turistica di Belluno, no eh!?

Se la nostra avesse fatto questo confronto avrebbe scoperto che per gli anni 2016, 2017 e 2018 la permanenza è stata rispettivamente di 2,19 – 2,20 e 2,23 giorni: cioè, è tutta la categoria che ce l’ha un po’ più lungo (anche se Belluno registra un allungamento più frizzantino).

(della serie: tu vuo’ fa’ ll’americano ma si’ nato in Italy)

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