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Cap. III - Con la Repubblica di S. Marco


By ddm - Posted on 18 February 2010

Ordinamento comunale

Il 1420, con la Dedizione del Cadore alla Serenissima, da cui esso s'attende solo la protezione in un regime di piena Libertà, segna l'inizio del periodo aureo della Magnifica Comunità Cadorina e di tutti i Comuni che ne facevano parte. Questi attesero allora con fiduciosa tranquillità al proprio miglioramento economico e insieme a perfezionare la loro precedente costituzione giuridica. Come era stato promulgato nel 1235 uno Statuto generale1, poscia modificato, per tutto il Cadore, si rese necessario codificare in ogni Regola le norme che la sola tradizione orale aveva conservato, riguardanti i doveri e i diritti dei singoli regolieri, o capifamiglia. Si scrissero perciò i Laudi, ed anche Lozzo ebbe il suo nel 1444, che, ritoccato successivamente, costituì la norma unica ed inderogabile nella vita del paese fino alla caduta di Venezia e per qualche anno ancora.

 

1 - Le Faule e i Laudi

Piazza Da Rin o delle "Faule" (Foto Burloni)Organo massimo della Regola era la Faula o Favola, ossia l'assemblea dei regolieri, che si riuniva «senza comandamento alcuno» in via ordinaria tre volte all'anno, e straordinariamente, al triplice suono della campana, ogni qualvolta il bene della Regola lo richiedesse. Le faule ordinarie erano tenute nel giorno di S. Marco Evangelista, l'ultimo venerdì di Maggio e nel dì di S. Stefano. Luogo di riunione era, per la prima, un cortà o cortile presso l'attuale casa canonica, e per le altre due la Piazza di Prou, più tardi detta Da Rin. Anche le faule straordinarie erano convocate in luogo pubblico, ma ancor prima del 1526 vennero trasportate nel Paveon o Padiglione comunale, dove soltanto dopo il 1752 si raccolsero tutte indistintamente le adunanze.

 

Principi fondamentali contenuti nei Laudi erano: 

  1. Obbligo da parte di tutti i regolieri di partecipare alle faule, sotto pena di ammenda. Divieto ai figli di rappresentare il padre ancora vivente;

  2. Obbligo di assumere qualunque carica a cui si fosse eletti. Il rifiuto importava penalità varie in denaro, «e niente di manco gli eletti erano tenuti a far l'officio»;

  3. Libertà di discussione, nell'interesse del Comune, in seno alle faule, e rispetto dell'altrui opinione. Proibita la sola proposta di alienare beni della Regola;

  4. Divieto di palesare ai forestieri «li secreti del Comune»;

  5. Obbligo di eseguire, col concorso anche dei propri animali, i lavori comandati dai Capi del Comune, e obbedienza immediata ai loro ordini. Previste per i trasgressori varie pene pecuniarie, e, per i ribelli all'autorità, l'abbattimento della loro casa «a cominciar dalla colmin», per mano di «tutto il Comun»;

  6. Conservazione e rispetto dei beni comunali; divieto di recidere alberi in determinate zone, di pascolare in certi mesi dell’anno e di sfalciare senza il preventivo consenso;

  7. Divieto di ricorrere, nelle controversie private, agli organi giudiziali prima di aver chiesto «rason» al Marigo o Capo Comune in prima istanza, e alla faula di Lorenzago in seconda. Occorrendo si poteva ricorrere poi alla «Corte, ovvero Dominio», previo però l'assenso del Comune;

  8. Perdevano temporaneamente o per sempre il diritto sui beni del Comune, cioè la qualità dei regolieri (decisione del 1710):

  9. Coloro «che repudiassero e refiutassero li beni paterni, per non pagare li debiti paterni»; e ciò «per conservar l'onorevolezza del Luoco e della Famiglie»;

  10. Coloro che proponessero d'accettare nella Regola dei forestieri2

 

 

2 - I Visindieri

I Visindieri cioè le cariche comunali d'ogni specie erano annuali e di nomina della Faula. Il Marigo, i Laudator e il Saltaro venivano eletti nel Parlamento di S. Marco, su proposta del Marigo cessante. Gli altri, quali ad esempio il giurato dei pegni, il giurato del Lume di S. Lorenzo, i due terminadori del Comune, i quettri, i bolchi, ecc. erano eletti nelle altre adunanze.

Compito del Marigo era di amministrare i beni della Regola e particolarmente di sorvegliare le vizze, coadiuvato da due saltari o guardie boschive, di tenerne i conti personalmente o coadiuvato da uno scrivante; di incassare le entrate e pagare le spese; di distribuire i Lavori del Comune, e soprattutto quelli di Bosco, in modo che vi partecipasse a turno ogni regoliere o un uomo della sua famiglia, di di provvedere la farina e il formaggio per gli operai addetti ai lavori comunali, cioè mandati a Piovego, di accompagnare tutte le processioni e di ricevere quelle che a Lozzo giungevano dalle regole vicine; di amministrare la giustizia e di sorvegliare perché nessuno lavorasse “pulsatis vigilis” nei giorni precedenti S. Lorenzo, S. Floriano, S. Vito e nei venerdì di marzo e maggio; di applicare le pene previste nei Laudi “senza far gracia alcuna”. I due Laudadori dovevano coadiuvare ed invigilarne l'opera.

Insieme riuniti, Marigo e Laudatori costituivano al Magnifica Banca, la quale doveva partecipare a tutti gli atti più importanti della Regola, e rappresentarla nelle funzioni religiose, Messe, processioni votive, ecc. Il conto del Comune, esaminato dai deputati o revisori e “laudato” dai Laudadori, veniva reso dal Marigo cessante al nuovo eletto, il quale con gli altri si firmava, “dichiarandosi contento del sopra scritto saldo in nome del Comun, contento e satisfato”. I conti stessi venivano anche verificati e vistati dall'Officiale del Centenaro. Al Marigo spettavano, a titolo di onoranza, quattro lire venete all'anno in contanti, e “venticinque lire3 de formado de monte”, oltre ad alcuni privilegi di poco conto. Solo le giornate impiegate fuori della Regola erano pagate. l'onoranza dei Laudadori era di due lire venete e mezza; quella dello “scrivante” variava da una a ventiquattro, in ragione del lavoro compiuto.

 

3 - La Centuria

Amministrativamente e militarmente, dalla prima metà del '300 fino ai primi anni del secolo scorso (fine 1800, ndr), il Cadore era diviso in dieci Centurie o Centenari o Università, comprendenti ognuna di esse una o più vicine, formate queste a loro volta da una o più Regole insieme riunite. Ogni Centenaro eleggeva un Capo od Officiale e due Consiglieri, scelti fra le persone più distinte del luogo, avvocati e notai per lo più, i quali, rinnovati o confermati di anno in anno, erano membri del General Consiglio del Cadore, massimo consesso della Comunità. Dall'Officiale dipendevano un alfiere, alcuni caporali e un centinaio di soldati. Il servizi di pubblica sicurezza era disimpegnato da un comandador.

Lozzo fece sempre parte del Centenaro di Domegge, cui partecipava la Regola di Vallesella, sopportandovi tutti gli oneri nella misura di un terzo. Frequentissimi quindi i rapporti con Domegge, dove si tenevano le adunanze dei capi centuria, spesso con l’intervento dei Marighi e dei Laudator delle tre regole (Lozzo, Domegge, Vallesella) ; dove risiedeva l’Officiale, cui erano affidati compiti vari; dove i soldati, ossia tutti i giovani validi, dovevano recarsi per l’addestramento alle armi nei giorni festivi; dove veniva recapitato l’importo delle colte e della masena (imposte locali; la seconda applicata sul macinato) perché fosse rimesso al Massaro o Cassiere della Comunità di Pieve, e dove avveniva la ripartizione del sale acquistato in comune.

A Domegge infine venne istituito nel 1581 il fontego o magazzino di Centuria, quale dipendenza di quello della Comunità, aperto in Pieve fino dal 1451 dalla saggezza del Maggior Consiglio, onde provvedere a tutto il popolo cadorino le biade (frumento e segala) di cui abbisognava, specie negli anni in cui scarsi erano i raccolti locali, ritenuto che non si doveva “serrar le viscere del cuore al prossimo vedendolo in necessità, ma sovvenirlo”.

 

Nel secolo del ferro

Col principio del 1500 s’approssima quel periodo di guerre fra l'imperatore d'Austria e la Repubblica di Venezia, in cui il Cadore si guadagna la palma del sacrificio più cruento.

Il Consiglio della comunità aveva previsto gli eventi e si preparava ad opporre la massima resistenza alle truppe imperiali, addestrando i giovani alle armi, provvedendo schioppi baliste ed archi, facendo costruire veretoni e scudi, approntando la Chiusa di Venas e rifacendo quella di Lozzo4, visitate ed approvando dal generale della Repubblica Bartolomeo d'Aviano. Massimiliano desideroso di cingere la corona imperiale a Roma, al rifiuto di alleanza e al divieto di passaggio oppostogli dalla Serenissima entra in Cadore per la valle del Boite con 600 uomini nel Gennaio del 1508.

La resistenza offerta dalle truppe Cadorine accorse al confine, minata dalla defezione di Cortina che ha aperto il varco agli imperiali, non può impedire che questi giungano fino alla Chiusa di Venas e quindi al Castello di Pieve. Frattanto dal Mauria entra in Cadore con le sue truppe friulane Girolamo Savorgnano, che dai tre ponti impartisce ordini, particolarmente interessati Lozzo, per la difesa di queste zone e da Belluno attraverso il Zoldano, giunge l'Alviano, che da Cibiana piomba di sorpresa sui Tedeschi il 2 marzo nei piani di Rusecco, fra Tai e Valle compiendone “orribile massacro”5. Viene riconquistato il Castello di Pieve, mentre le superstiti truppe nemiche valicano il confine per irrompere un mese dopo nel Comelico superiore, incendiarne borgate e gettare nuovo panico sul popolo Cadorino.

Altro anno di martirio e di gloria fu il 1509. s'era formata nel dicembre precedente fra gli stati europei la Lega di Cambrai ai danni di Venezia. Massimiliano occupate Feltre e Belluno, mandò in Cadore il principe di Noltz con 8000 uomini e 14 cannoni a compiervi vendetta all'onta patita l'anno prima. I Cadorini non poterono sostenere l'urto di così numeroso esercito e dopo due giorni e due notti di combattimento dovettero ritirarsi, mentre le milizie del Noltz compivano su tutto il territorio Cadorino la più crudele devastazione. Quasi tutti i paesi furono occupati, saccheggiati, devastati, incendiati.

Partiti i Tedeschi, i Cadorini, i “fedelissimi della repubblica” riguadagnarono la città di Belluno, cacciandovi gli imperiali. Nuova invasione di Tedeschi ebbe luogo nel novembre 1509. Venuti dal passo del Mauria, al comando del principe d'Hanault, per Lorenzago, Pelos, Lozzo e Domegge già si avviavano alla conquista del castello di Pieve quando le milizie Cadorine alle quali si erano aggiunte cento cavalleggeri e quattrocento fanti inviati da Venezia e guidati da Pietro Corso e Leonardo Da Prato, li affrontarono gagliardamente tra Crodola e Vallesella e in memorabile combattimento ne fecero strage. Non meno tristi furono gli anni che seguirono fino a pace conclusa fra l'imperatore e Venezia nel 1512. Il Cadore fu meta di numerose altre invasioni vi si ripeterono gloriosi fatti d'arme, e l'opera devastatrice del nemico poté compiersi a pieno: i villaggi non rimasero più che un mucchio di rovine, e la popolazione, che nella dura prova rinvigorì la propria fede, riparò per vari anni nei Mas e nei fienili in attesa, che dov’ era passata la distruzione risorgesse un mistero abituro.

 

Secoli di Pace Operosa

Lozzo Antica: la Parrocchiale (1733-36) e il "Paveon"A questi fatti segue un periodo lunghissimo di tranquillità che avrà fine solo quando alla venuta di Napoleone, l’alato Leone Veneto chiuderà il suo libro augurale di Pace. Il Consiglio Generale del Cadore delibera la ricostruzione del Castello di Pieve e del palazzo della Magnifica Comunità e in tutti i paesi risorgono come nuovi le case e i Templi nuovi. Lozzo costruisce nel secondo decennio del ’500 il suo primo palazzo Comunale, detto allora Paveon, sulla via che tutt'ora porta questo nome, e nel 1530, la Chiesa in sostituzione di quella prima esistente con ogni probabilità, nella borgata Prou, e distrutta per gli eventi narrati, dopo appena qualche anno da che era stata costruita. Due avvenimenti principali nella vita cinquecentesca del Paese meritano menzione: l'inizio di interminabili litigi con le regole limitrofe per ragione di confini e la lotta con Lorenzago per la separazione della Chiesa.

 

1 - Tutela della proprietà

l'aumento continuo della popolazione e quindi i sempre maggiori bisogna, aggravati dalle ricordate frequenti carestie e devastazioni, accrebbero nel cuore di tutti quell'attaccamento alla proprietà pubblica e privata che ancor oggi costituisce una delle virtù più distinte per il popolo Cadorino. Essendo mal delimitati i confini fra i territori delle regole, sorsero fra queste ben presto delle differenze che richiesero ben presto l'intervento delle autorità giudiziarie. Lozzo sostenne varie cause contro Auronzo, Vigo e Domegge. Con quest'ultimo la lite si protrasse, ora per un’ altra, per dei secoli, e tutt'ora esistono fra i due comuni delle ragioni di disaccordo. Fu un continuo susseguirsi di citazioni, consulti, comparse, sopralluoghi e decisioni pro e contro, da parte del Vicario, massima autorità in materia del Cadore, di appelli del dominio, al tribunale dei quaranta, di vittorie, e di sconfitte. La tutela della proprietà comunale importò così continue spese, tanto da intaccare fuori misura le rendite annuali allora ammontati ad appena due o tre mila lire venete.

 

2 - Separazione da Lorenzago

La Regola di Lozzo aveva tentato di staccarsi da quella di Lorenzago per il servizio del culto fino dal 1538, riuscendo solo ad accordarsi con quegli uomini sulle funzioni che il Curato avrebbe dovuto celebrare nelle rispettive Chiese in determinati giorni. Nel 1583 riuscì invece ad ottenere che un cappellano risiedesse a Lozzo, e che Curato e cappellano prestassero servizio a tutte e due le Ville. Un ponte di Legno detto “del Pree” gettato sul Piave, univa direttamente i due territori e ne facilitava i rapporti. Un altro infruttuoso tentativo di separazione si ebbe nel 1637. Solo nel 1666 a Lozzo fu attribuito il diritto di avere un suo Curato, da nominarsi per voto di popolo di tre in tre anni prima, poi a vita. La curazia assumerà il grado di parrocchia soltanto nel 1857.

 

3 - La Fede degli avi

Il Santuario dell B. V. di Loreto nella seconda domenica di Maggio (Foto G. Girardini)Come in tutto il Cadore la vita Religiosa era molto intensa. Alla funzione del Sabato Santo, che si celebrava solo nell'Arcidiaconale di Pieve, partecipavano i primi uomini di ogni Regola, recandovi i Ceri delle loro Chiese perché vi fossero Benedetti. Ogni Pievano e ogni Curato aveva poi la sua profezia da cantare e le precedenze erano gelosamente osservate. Speciale importanza assumeva la Processione delle rogazioni cui interveniva collettivamente tutto il popolo cadorino con le rispettive Banche ed i Sacerdoti. I Frequenti disordini e litigi non sempre incruenti che ne nascevano per tanto agglomerarsi di gente e per motivi di precedenza nell'ordine delle Croci delle molteplici Chiese, indussero a ridurre nell'ambito di ogni parrocchia la Processione.

Solennità particolari di Lozzo erano i Giorni di S. Lorenzo, S. Stefano, dell'Assunzione, di Santa Croce e l'ultimo Venerdì di Maggio, in cui si faceva la processione in Campagna. Numerose poi le S. Messe per voto degli uomini della Regola nei giorni di S. Maurizio, S. Vito, S. Floriano, S. Bernandino, S. Giacomo e S. Rocco. ssai frequenti le Processioni Votive alle Chiese dei Paesi vicini e Lontani: ad Auronzo, a S. Daniele di Vigo, alla Madonna della Molinà, a S. Nicolò di Perarolo, alla Madonna di Borca, a S. Maria Luggau (Austria), a S. Osvaldo di Sauris. Vi dovevano intervenire tutti i Regolieri, ai quali il Comune distribuiva del Pane, del Vino e talvolta qualche soldo.

Al Sacerdote e alla Magnifica Banca, dopo che questa aveva recato l'offerta di poche Lire alle singole Chiese, il marigo del luogo offriva qualche jnghistara6 di vino, spesso distribuito a tutti i presenti. Lozzo riceveva con la stessa generosità le processioni che vi giungevano da molti paesi. Quattro erano qui le Confraternite: dei Battuti, di S. Lorenzo, del S.S Sacramento e del Rosario alle quali si aggiunsero nel 1757 quella di S. Filippo Neri e nel 1877 quella delle figlie di Maria, tutt'ora esistenti.Di tutte queste la prima era la principale e più antica.

Esisteva già nel 1423 (probabilmente istituita nel secolo precedente) e fu abolita da Napoleone nell'Aprile del 1806. Scopo suo principale d'amministrare un Ospedale7 in cui venivano ricoverati i Confratelli e le Consorelle bisognose e i forestieri che cadevano ammalati lungo il viaggio: agli iscritti inoltre faceva annue distribuzioni di Pane e formaggio, e per i defunti faceva celebrare una S. Messa. Sono monumenti della Pietà di quei secoli la Chiese che la Regola e le Confraternite eressero con incredibili Sacrifici, ed arredarono con vero splendore d'Arte, purtroppo cancellato dagl'incendi. Dal 1620 era la Chiesa di S. Rocco, rifatta nel 1857; del 1658 il Santuario della B.V. di Loreto e del 1733-36 la Parrocchiale (vedi trattazioni particolari).

 

4 - Ascensione economica

Ristrettissima la proprietà Privata, le condizioni economiche della pur Magnifica Regola non erano buone: all'esame delle Memorie dell'epoca riesce evidente lo stato di povertà in cui si viveva. Aumentato il traffico di legname, cominciata l’emigrazione stagionale, le entrate tuttavia erano non sempre sufficienti a pagare le tanse, le masene, ed i pedaggi della Comunità, ed a comperare quel poco di biava da distribuire ai regolieri, tanto che non perissero di inedia le misere loro famiglie. Un’ingente spesa Lozzo doveva sostenere per il mantenimento delle strade e dei ponti del suo territorio, secondo le prescrizioni dello Statuto generale della Comunità Cadorina.

Per queste ragioni e per fare fronte alle spese nelle liti in precedenza menzionate, il bilancio comunale era sempre in disavanzo. si ricorreva perciò ad onerosi prestiti, che si estinguevano talvolta in parecchi anni, con i proventi dei boschi. Questi erano invero andati aumentando di numero in seguito alla ripartizione della maggior parte del patrimonio silvano del Cadore fra le singole Regole, che ne facevano richiesta per sopperire a spese straordinarie (erezione di chiese, loro dotazione, ricostruzione di villaggi, ecc.) o per umanissimo desiderio di estendere la loro proprietà, sia pure talora inadeguatamente. Una prima concessione ebbe Lozzo nel 1609 del bosco “a foglia” di Campiviei e a questo si aggiunse nel 1613 la parte “a dassa”, cioè per legname mercantile, in seguito a supplica della Regola, la quale sperava così di poter riparare agli ingenti danni causati dall’incendio del 3 agosto dell’anno precedente, che aveva distrutto quasi interamente il paese.

Ma i debiti aumentarono tanto da indurre nel 1636 il Consiglio Maggiore della Comunità a concedere gratuitamente in assoluta proprietà del Comune di Lozzo il territorio di Campiviei. Il divieto di recidere ad uso mercantile nei boschi avuti fino al 1555 e costituendo il nucleo centrale e maggiore della proprietà comunale, fu tolto nel 1698, verso il pagamento di tenue tassa. Nel 1745 la Comunità inoltre, superati a caro prezzo8 gli ostacoli frapposti dal Centenaro di Auronzo, vendette a Lozzo parte del bosco di Valsalega9 al quale aggiunse tre anni dopo parte di quello di Valdarin e Poorse10. In tal modo si andò l’attuale patrimonio del Comune e dei privati11.

Vivevano gli abitanti, dopo tali concessioni ed acquisti, di una prosperosa tranquillità, e, conservando integri i costumi, incorrotta la frugalità, sempre più vivo l’amore al risparmio, ammaestrati dalle due esperienze del passato, attendevano al miglioramento economico del Comune, preparandosi un’ era di sociale agiatezza. La pastorizia ricevette maggiore impulso, e il numero degli animali andò notevolmente aumentando, grazie all’allargamento del territorio adibito al pascolo nelle citate località di Campiviei, Valsalega e Valdarin12. L’agricoltura, tenuta in grande considerazione, costituiva l’occupazione principale degli uomini, che allora come oggi non avevano il bisogno di emigrare.

Tuttavia la vasta zona arborata che circonda il paese, oggi ridotta di nuovo per lo più a prato, era in quel tempo a seminativi, e produceva negli anni discreti quasi quanto bastava al bisogno dell’intera popolazione. La lana delle numerose pecore, il lino e la canapa, coltivati largamente, davano il mezzo ad ogni famiglia di provvedere da sé al vestiario ed alla biancheria. Le donne, finito il lavoro in campagna, trascorrevano le giornate e buona parte della notte a filare e a cucire. Numerosi erano poi i tessitori, i battipanni, i tintori, che preparavano le ottime tele per biancheria che ancor oggi si conservano religiosamente in quasi tutte le case, sebbene la loro ruvidezza strida con il capriccio e la mollezza dei moderni costumi.

Uomini e donne vestivano tutti una stoffa solidissima, nota sotto il nome di mezzalana, che poteva bastare per un’ intera vita, e che, meglio di qualunque altro tessuto, s’adattava ad ogni mestiere rispondendo a quel criterio di rigida economia che tutti in quel tempo s'imponevano come un santo dovere. Gli uomini che non esercitavano i doveri usuali, facevano i boscaioli nei boschi del Comune, per il taglio dei quali era osservata una rotazione tale da consentire quasi ogni anno di occupare la mano d’opera disponibile.

 

 

1 Fu dato dal caminese Biaquino III, e letto sulla Piazza di Pieve il 5 dicembre di detto anno.

2 Il Cap. LXVIII dell'antico Statuto del Cadore diceva: “Niuno homo, o persona forestiera sia, né esser s'intendi cittadino di Cadore, et non possi né debba goder li privilegij delli quali godono li altri cittatini, se non sarà stato assonto per cittadino nel pieno e General Conseglio di Cadore, et non habbia in detto Conseglio giurato fedeltà al Serenissimo Dominio nostro di Venetia, et della Comunità del Cadore et ch'egli farà et sostenirà tutti et ciascun gravame, e fattioni, li quali et le quali sostengono li altri cittadini di Cadore, non derogando per questo alle ragioni delle Regole priuate”.

3 La libbra grossa di Treviso, qui in uso, corrispondeva a grammi 516,7486 e aveva per sottomultiplo l'oncia, equivalente a un dodicesimo, cioè a 43 grammi circa.

4 Le fortificazioni alla Chiusa di Lozzo furono costruite negli anni 1499-1500 da Maffeo Murer e Cristoforo Foltore. L’Alviano, visitatele ordinò vi fosse aggiunto un forte idi più

5 Il fatto d’armi che va sotto il nome di Battaglia di Rusecco o di Cadore, fu dipinto da Tiziano nel Palazzo Ducale di Venezia. Bruciato l’anno dopo la morte del grande pittore, il dipinto fu ripetuto nel soppalco della sala maggiore da Francesco Da Ponte. Sul campo di battaglia un’iscrizione così dice: Veneziani e Cadorini-qui-il II Marzo MDVIII-gl’imperiali sterminando-la via di roma- a Massimiliano d’Austria-da Venezia contesa-gloriosamente-difesero

6 Misura di capacità pari alla dodicesima parte della secchia, o mezzo boccale, cioè a litri 1,19

7 Era situato dove oggi sorge la casa Elisabetta Lovarini, ved. Piazza, sulla via Padre Marino.

8 Intorno a tale vendita fiorì la storiella dei gnocchi, che furono veramente mangiati dagli Auronzani, ma a spese della Comunità. E cari! Questa infatti, perché Auronzo ritirasse il ricorso avanzato al Consiglio dei Quaranta, gli dovette cedere la parte restante del bosco di Valsalega e di quello di Valdarin. E tutto per la sola tassa di 20 Ducati da lire sei e 4 soldi.

9 Fu pagato 3150 lire venete.

10 Fu pagato lire venete 1600 e celebrate sessanta Messe.

11 La montagna di Sovergna fu in parte ottenuta da Auronzo con atto 10 agosto 1188 in cambio di quella di Lareto (sui fianchi dell'Ajarnola) contrariamente a quanto dice la tradizione che la vorrebbe donata da una contessa Savorgnan. Può essere però che tale donazione riguardi una qualche porzione del Monte. In parte fu invece concessa dalla Comunità nel 1753.

12 Nel 1790 Lozzo, con 767 abitanti, aveva 57 vitelli, 419 vacche, 269 pecore e 558 capre. In complesso il doppio che al presente.