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Cap. IV - Dalla caduta di Venezia ai giorni nostri


By ddm - Posted on 18 February 2010

1 - Periodo napoleonico

Con la venuta di Napoleone ebbe fine la tranquillità politica che durava da quasi tre secoli, ed ebbero la loro tomba per molti anni quella libertà e quell'uguaglianza che i Francesi proclamavano a parole e il Cadore aveva di fatto godute quasi sempre fino allora. Nel maggio 1797 i Francesi instaurarono il loro governo in Cadore, che divisero in sei Cantoni: Lozzo fu il capoluogo di uno di questi, comprendente anche Auronzo, Vigo e Lorenzago. Nella Piazza Vecchia fu innalzato l’albero della libertà, fra l’indifferenza della popolazione ignara di quello che le si preparava, e sotto l’usbergo di quel simbolo si operarono anche qui, ripetute con frequenza, le requisizioni di denari, biancheria, calzature, cereali, formaggi, animali, arredi, argenteria di chiesa1, lavori d’arte, ecc. che impoverirono la contrada.

Nell’ottobre dello stesso anno si stipulava il famoso trattato di Campoformido, che segnava ignominiosamente la caduta ingloriosa della gloriosissima Repubblica di S. Marco, e nei primi del ‘98 al dominio dei Francesi successe in Cadore quello non più dolce degli Austriaci, sotto i quali tuttavia i nostri paesi riacquisirono, in parte e per qualche tempo, la perduta libertà. Essi infatti poterono reggersi secondo l’antico ordinamento, che durò fino a quando, nel 1806, le province venete riguadagnate da Napoleone furono unite al Regno Italico, fu introdotto il codice napoleonico. Il Comune di Lozzo, rappresentato da una propria Municipalità presieduta dal Sindaco, fece allora parte del Cantone di Auronzo, e questo del Distretto del Cadore, il quale, con un vice prefetto, veniva alla sua volta compreso nel dipartimento della Piave, con a capo il Prefetto.

A completare l’opera di devastazione e d'immiserimento, sopravvenne una terribile epidemia negli animali bovini, per cui il patrimonio zootecnico fu quasi interamente distrutto. Al sostentamento della popolazione, si dovette provvedere in comune con grossi acquisti di granone, cui si fece fronte mediante numerosi mutui2. Cessato il Regno Italico, durante il quale i paesi del Cadore continuarono ad essere teatro di invasioni e di passaggio di francesi e tedeschi, sorse nel 1815 il Regno Lombardo Veneto, e sotto l’egida dell'aquila bicipite per molti anni duramente memorabili, il popolo cadorino conobbe le catene della schiavitù; ma, rafforzando in cuor suo quei sentimenti di libertà e di indipendenza che sono il più ambito retaggio degli avi, forgiò le sue energie per i giorni in cui poté insorgere come un sol uomo contro la mal sofferta tirannide, a rivendicare le proprie aspirazioni, e ad incidere il suo nome “a lettere di fiamma nella storia del risorgimento nazionale”.

 

2 - Nel risorgimento

Pietro Fortunato Calvi (da una pittura di Tomaso Da Rin)Venne il 1848, e a quel fremito di libertà che divampò d’improvviso in tutta Europa, si ridestò da lungo sonno “il vecchio leon veneto”. Alla voce dell’antica campana dell'arengo, le rappresentazione cadorine convenute numerose in Pieve, in due memorande sedute (1 e 25 aprile) ripeterono l’atto di straordinaria dedizione a Venezia del ’420, ed incitate anche dal proclamata di Daniele Manin e di Nicolò Tommaseo3 che loro avevano inviato per interessamento di Don Natale Talamini il Capitano Pietro Fortunato Calvi, decisero la resistenza armata ad ogni costo, mentre giungeva la notizia della capitolazione di Udine. Istituito un comitato di difesa che doveva agire di concerto con il Calvi, si iniziarono quegli eventi che guadagnarono l’ammirazione del Cadore l’ammirazione del mondo, il canto dei poeti, e la medaglia d’oro al valor militare decretatagli dalla Patria unita.

Il 2 maggio i Cadorini, accorsi al suono a stormo delle campane, comandati dal Calvi4, mettono in fuga 2000 tedeschi che hanno varcato il confine fra Cortina e S. Vito e che al Cadore vogliono imporre la resa, offrendo come grazia i patti della capitolazione di Udine5. È questo il fatto d’armi in cui il giovane Capitano per impero, coraggio e fermezza si impadronisce dell’animo delle milizie e delle popolazioni cadorine, che lo seguono poi baldanzose in tutti i cimenti. Il 7 maggi è respinto alla Tovanella un forte reparto d’austriaci che tentano entrare nella vallata bellunese; l’8 si ripete la gloriosa gesta a Rucorvo e Rivalgo, presso Perarolo. Nei giorni 9 e 10 il nemico riporta vergognosa sconfitta a Vena, nella valle del Boite, per la quale s’è improvvisamente spinto.

Il 21 i tedeschi attaccano di nuovo alla Chiusa di Venas e tentano inutilmente di colpire il Cadore al centro, scendendo per la valle di Calalzo, e il 24 forzando il passo della Morte in Carnia. Il 28 è giorno di gloriosa vittoria dovunque. Il nemico, ormai deciso ad assicurarsi la via per Venezia spezzando la fiera resistenza dei Cadorini, ingrossate di parecchie migliaia le proprie milizie, attacca contemporaneamente a Rivalgo, alla Chiusa, e a Rindemera, minacciando altrove6.

Volontario del 1848 nella divisa dei Corpi Franchi (Barnaba Barnabò<br />
 da Lozzo)I nostri, minacciati dalla parola e dell’esempio del Calvi, decisi ad ogni sacrificio, resistono e vincono dappertutto, respingendo l’invasore e cagionandogli numerose perdite. Ma il nemico, che crede d’avere dinanzi a se un esercito regolare ben provveduto, ingrossate ancor più le file, va stringendo il cerchi di ferro in cui ha chiuso il Cadore, minacciando soprattutto dalla Carnia.

I nostri, ormai privi di munizioni ed impari per numero quanto mai nell’immane lotta, offerto tuttavia ancor l’impeto dei loro petti alla ferocia nemica, il giorno 4 giugno, resasi impossibile ogni ulteriore difesa, vedono tramontare quel sogno di libertà che tanto hanno accarezzato, e per il quale tutti, come un anima sola, hanno lottato per più di un mese. Su tre grosse colonne, aggirato il passo della Morte, i tedeschi provenienti dalla Carnia guadagnano la Val di Toro, il passo della Mauri e la valle del Piova, e piombano come avvoltoi sui paesi cadorini a riportarvi più inacerbita la loro violenza vendicatrice.

A Lozzo, che invano avevano cercato all’inizio delle eroiche giornate di render docile con la promessa di un’elargizione di 300 sacchi di “sorgo”, essi danno sfogo alla loro rabbia devastando la casa canonica. Unico spiraglio di luce in tanto sconforto giunse ai Cadorini la notizia delle gloriose gesta di Carlo Alberto. Intanto il capitano Calvi ripiega con pochi suoi fidi verso Venezia, e l’Austria, che su di lui ha posto la taglia di 10.000 fiorini, gli prepara il capestro, che al vate della nuova Italia farà cantare:

 “Ahi, Pietro Calvi, al piano te poi fra set’anni la morte

da le fosse di Mantova

rapirà. Tu venisti cercandola, come a la sopra

celatamente un esule.

 

Quale già d’Austria l’armi, tal d’Austria la forca or ei guarda

sereno ed impassibile,

grato a l’ostil giudicio che milite il mandi a la sacra

legion de gli spiriti.

 

Non mai più nobil alma, non mai sprigionando lanciasti

a l’avvenir d’Italia,

Belfiore, oscura fossa d’Austriache forche, fulgente, Belfiore, ara di martir".

 

Giunse il 1866, e mentre altrove è già spento il tumulto dell’armi, il Cadore viene improvvisamente invaso da un capo d’Austriaci. Ma ai Tre Ponti le Bande Armate di volontari ed i liberi popolani prontamente accorsi fiaccano ancora una volta la nemica tracotanza. Per tale fatto d’armi Giuseppe Garibaldi fa giungere la sua lode ai valorosi, che hanno saputo rinnovare le gesta del ‘48 “epoca memorabile in cui le montagne del Cadore furono il sacro asilo dell’onore italiano”. La nostra piccola Patria è col Veneto ormai unita, figlia non indegna, alla gran Madre comune, l’Italia, e si prepara a partecipare alla sua libertà, nella visione sicura di un immancabile avvenire di prosperità e di grandezza.

 

3 - L’Incendio del ’67

Lozzo prima dell'incendio del 1867La gioia dei lozzesi per gli ultimi avvenimenti politici fu però ben presto offuscata da una terribile sciagura: l’incendio di quasi tutto l’abitato, a pochi anni di distanza da due simili disgrazie7. Ecco la descrizione che ne fa il Ronzon, testimonio oculare:“Erano le dieci e mezza della notte del 15 settembre del 1867 ed era di domenica. La gente, com’è suo costume, s’era coricata da poco e non rimanevano desti che qualche gruppo di giovanotti, girovaganti nel paese cantando, o seduti in un osteria. Quand’ecco si fa sentire la terribile parola: fuoco! fuoco! ed a quel grido suonar le campane, ed alzarsi pallidi, sonnecchianti, semivestiti, esterrefatti gli abitanti e chiamare aiuto e misericordia è solo un punto.

Ma ormai non è più il tempo di spegnere il fuoco che, appreso non si sa come ad un fienile in principio del paese, eccitato da un forte vento, che soffia da oriente ad occidente, e alimentato dall’enorme quantità di legname, di cui tutte vanno coperte ed in gran parte fabbricate le case, prende in breve proporzioni tremende. Invano si tenta di precludere l’ulteriore progresso delle fiamme, mercé la demolizione dei tetti, che ardenti tizzoni, portati dal vento, apprendono il fuoco saltuariamente nelle parti più aride ed elevate.

Lozzo dopo l'incendio del 1867Egli è un momento di indicibile angoscia; gli abitanti dispersi, seminudi, non sanno che si fare, hanno perduto il sentimento dell’ordine e del coraggio; non manca il caso di taluno che porta delle masserizie del fuoco, credendo di portare a salvamento. é un via-vai, un tumulto, un urlo, un mugghiare d’armenti schiusi dalle stalle, un crepitar di fiamma, un cadere di tetti. Il celo è rosso e un’ampia massa di fuoco in mezzo all’oscurità rischiara d’intorno le immobili cime dell’Alpi. Intanto chiamati dalle loro campane, ch’aveano risposto al lugubre tocco di quelle di Lozzo, accorrono gli abitanti de’vicini villaggi, accorrono stipati da ogni luogo e deliberati a far di tutto per salvare le case e le masserizie degl’infelici fratelli; accorrono i carabinieri a mettere un po’ d’ordine, volano da Pieve i bersaglieri colla loro veste da fatica e con mirabile sangue freddo, con mirabile ardire e sveltezza guadagnano il culmine de’tetti, scivolano da un punto all’altro di mezzo alle fiamme e sembrano gli angeli della luce pugnanti contro il genio del male.

Coll’aiuto di questi, coll’aiuto di tutti, tanto si fa che dopo tre ore si dà vinto l’incendio, là ove nessuno avrebbe ardito sperare. Ma in queste tre ore centosessanta edifizi erano consunti, centoquarantatre famiglie senza tetto, novecento individui privi del necessario8; e due poveri coniugi, già avanti negli anni, ed una loro figlia, non ancora ventenne, avvolti dal fumo e dalle fiamme nella casa attigua al fienile, ove prima l’incendio s’apprese, incapaci a rinvenire una via di scampo, miseramente perivano. Caso lugubre che s’aggiungeva ad accrescere la desolazione d’una notte d’orrore! Chi avesse veduto il paese di Lozzo la mattina del 16 settembre non avrebbe potuto trattenere le lagrime. Non più tracce di vie e d’abitanti, dovunque mucchi di cenere, travi abbronzate, fumanti, accatastate l’una sull’altra, muri scrollati, reliquie di masserizie, di mobili sparsi dovunque.

Dovunque silenzio, squallore, ruine; ma se spingevi lo sguardo nella campagna circostante ti si presentava un altro straziante spettacolo: un pane, un tetto”. E l’aiuto venne sollecitato, spontaneo, da oggi parte d’Italia, con una generosità fraterna che Lozzo non potrà mai dimenticare9.

 

4 - Ultime vicende

Maggio 1918 - La requisizione delle campaneNel 1882 fu completata l’infausta serie delle divisioni dei beni del Comune, il quale rimase fra i più poveri del Cadore. Durante le guerre coloniali il paese seguì spiritualmente giorno per giorno tutte le vicende militari. Ad Adua offrì due dei suoi figli migliori, mentre parecchi parteciparono alle gloriose gesta libiche. Nell’ultima guerra compì degnamente tutto il suo dovere, e nel terribile anno dell’invasione la popolazione soffrì con dignitosa fierezza ed attese con assoluta fiducia l’ultimo evento10.

Salutò poi esultante il giorno della liberazione e si diede in silenzio alle opere di pace, non senza aver esaltato, con quelli di tutta Italia, i suoi 42 caduti con l’erezione di un monumento - nella Piazza IV Novembre, e promosso per voto dei reduci l’istituzione di un Asilo Infantile. E la memoria di tutti i valorosi Eroi della Guerra, i cui nomi sono incisi sulla Campana dei Morti, che non senza significato è insieme quella della scuola, si perpetua infine nell’esaltazione della Medaglia d’Argento Da Pra Zotto, al quale è dedicato il nuovo artistico edificio scolastico11, in cui alle novelle generazioni la Patria affida il culto del passato, quale fiaccola rischiarante la vita per le più alte e radiose mete.

 Nel 1918. Una delle 100 requisizioni: la partenza dei gerliL'edificio scolastico "Giuseppe Da Pra Zotto". Sullo sfondo il Tudaio (m. 2279) e lo Schiavon (m. 2337) (Foto G. Gerardini)

 

1 Prima dell'arrivo dei francesi molte delle argenterie furono nascoste al “Crepo de le Cros”. Le altre vennero requisite; Napoleone, in vista degli eccezionali bisogni del Cadore, ne ordinò la restituzione, che venne eseguita solo in parte, ma la Municipalità di Pieve deliberò di trattenere l'argenterie stesse per far coniare denaro e pagare i debiti, salvo, appena possibile, versare adeguato importo ai Comuni. Lozzo rimase in credito di oncie 627 di argento, calcolate a L. 10 per oncia.

2 Nel 1802 Lozzo aveva circa centomila lire venete di debiti, che estinse con un taglio rovinoso in tutti i boschi.

3Il Governo della Repubblica Veneta ai Popoli del Cadore. Venezia, 5 aprile 1848. Voi, che allo straniero faceste più volte sentire come il vostro braccio sia non men forte a combattere i nemici, che il cuore ad amare gli amici: voi, che nelle vostre chiese conservate ricordanza viva delle patrie vittorie vostre; voi, che l'antica Repubblica chiamò fedelissimi, e che tra i primi vi uniste cordialmente alla nuova, vedrete gli antichi privilegi vostri mutati in comuni diritti; voi, che nel puro cielo dei vostri monti respirate com'aria la libertà, vi sentirete più liberi e lieti, sapendo che a questo retaggio prezioso partecipano i vostri fratelli. Conservate intatta la schiettezza degli antichi costumi, da cui viene costanza al sentire, e al vivere dignità. Il tesoro delle tradizioni e delle consuetudini è fra tutti il più sacro. Cadorini, credete all'affetto nostro, e noi al vostro crediamo, perché sappiamo bene che le anime sincere sono le più generose e schiette. Il Presidente: MANIN TOMMASO – Il segretario: F. ZENNARI”

4 “Che è? Chiede il nemico venendo a l'abboccamento, e pur con gli occhi interroga. – Le campane del popol d'Italia sono: a la monte vostra o a la nostra suonano (CARDUCCI)”

5 “Oh due di maggio, quando saltato su 'l limite de la strada al confine austriaco, il capitano Calvi – fischiavan le palle intorno – biondo, diritto, immobile, leva in punta a la spada, pur fiso al nemico mirando, il foglio e 'l patto d'Udine, e un fazzoletto rosso, segnale di guerra e sterminio, con la sinistra sventola!” (CARDUCCI)

6 A Rindemera, nel territorio di Vigo, combatterono gli abitanti di quel Comune, d'Auronzo, di Lozzo, Lorenzago e del Comelico. Un'iscrizione sul luogo così dice: MDCCCXLVIII-XXVIII MAGGIO- POCHI DE' NOTRI-IN EROICA PUGNA- FUGARONO-MILLE AUSTRIACI.

7 Il 2 ottobre 1833 era stato distrutto il borgo Stefin e il 18 ottobre 1847 quasi tutta la parte est di Prou.

8 Fu distrutta quasi tutta la borgata Laguna.

9 Nel 1876 venne distrutto dell'incendio anche il borgo dei Danella (Zanella)

10 Molti dei nati nell'anno “dei tedeschi” portano i significativi nomi di Italo, Italia, Libero, Vittoria, Speranza, e c'è perfino una Speranza Itala Vittoria.

11 Una targa marmorea con il decreto della decorazione vi eterna l'eroismo del valoroso giovane. È stata collocata a cura della locale Sezione Combattenti.