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Reminiscenze folcloristiche


By ddm - Posted on 18 February 2010

 “Piuttosto che smettere un’usanza, è meglio far fuoco al paese”. Così si afferma; ma quante usanze scomparse, e quante stanno sparendo! Bisogna credere che il fuoco non metta più tanta paura! Interessante tornerebbe la raccolta di notizie sui costumi, credenze e superstizioni di un tempo, di cui sono ancora ben edotti i pochi vecchi che nel passato abbastanza remoto possono guardare con la loro memoria. Ma giudichiamo più confacente all’indole di questo libretto la conoscenza di quanto ancora rimane, sia pure in parte patrimonio comune a tant’altri paesi.

 

Il Pupo o Torre di Lozzo fra il Ciastelin e la Croda di S. Lorenzo o<br />
 Ciareido (Foto Gerardini) La nascita e l’infanzia. - Dice il proverbio: Se vede da vedèl che bo che ‘l vien; e per certe qualità non occorre che il vitello sia tanto grande, poiché fino dalla nascita si può con sicurezza vedere nel futuro del nuovo essere senza ricorrere alle arti occulte: se il bambino viene alla luce con i pugni chiusi, sarà uomo molto economico; ma se ha le dita molto lunghe, diventerà “un drei”, cioè scialacquatore. La lunghezza della lingua poi è indirizzo della maggiore o minore franchezza e loquacità futura. Comunque vadano le cose, se la fortuna vuole che il parto sia il primo nella parrocchia dopo la lavatura della caldaia del fonte battesimale nel giovedì santo, esso importa l’obbligo di pagare il parroco il valore d’un quarto di vitello.

I bambini non devono mai essere portati fuori di casa la notte, ma se non si può fare a meno, buona regola è quella di far loro il segno della Santa Croce: una dimenticanza poterebbe essere funesta per la salute del bambino. Sventurata poi quella mamma che si lascia vincere dal desiderio di accompagnare i piccini nella processione del venerdì santo!

A rendere più facili ai bambini i primi passi, non bisogna trascurare di esercitare nei giorni di giovedì e di sabato santo, mentre le campane suonano la Gloria. E nello stesso tempo, piccoli e grandi procurino di lavarsi ben bene, se durante l’anno vogliono essere risparmiati dalle punture dei mossite o moscierini. Veramente non si comprende la ragione di quest’ultima precauzione, se tutti gli abitanti di Lozzo - forestieri esclusi - sono mossite, posto sia vero il proverbio “cian no magna da cian”!

Del matrimonio. - In materia tanto delicata, anche qui grandi progressi, dato lo sviluppo migratorio e specialmente dopo la guerra! Si nasce con gli occhi aperti (mentre una volta si viveva qualche bel giorno con gli occhi chiusi) e la castigazione dei costumi è relegata fra le anticaglie, come appropriata solo agli antenati, incapaci a tutto, tanto che infilavano i calzini con le zinchignole (carrucole)! Le ragazze non devono attendere sempre! E’ giusto che s’ingegnino per quanto possono al fine di sistemarsi presto; meglio prestissimo, piuttosto di restare tutta la vita “a cuose fasuoi” ; ne vadano la pazienza e al tranquillità delle mamme, che, magari di poco, son sempre più vecchie delle figlie e quindi non del tutto comprese delle moderne necessità della vita.

Vogliono però esse conoscere prestissimo la propria sorte? Seguano in questo il consiglio delle mamme, che ne san di più: la vigilia di San Giovanni Battista appendono un legaccio delle calze ad un ramo di sambuco, e restino bene in ascolto all’alba: il nome che primo udranno pronunziare sarà quello del sospirato compagno. Nome maschile però, naturalmente! Non riesce la prova? Pazienza: ritentare l’anno dopo e sempre, finche si ottiene soddisfazione! Col tempo e anche senza paglia... Le ragazze provino presto la “vera” e si consolino se essa sta bene sul dito: sposeranno certo “un bel giovinetto”; per contrario saranno destinate ad un ubriacone se hanno il vezzo di bagnarsi facendo il bucato, lavando i pavimento, ecc. Duro destino!

Nell’uscire di casa la domenica per la S. Messa, non occorre più che le figli d’Eva si soffreghino il viso con i panni di mezzalana onde acquisire un bel colorito: ora si rimedia a tutto e si ottiene effetto più duraturo, grazie alle risorse dell’arte decorativa, che dev’essere ben conosciuta, e non solo nei giorni di festa. L’auspicata evoluzione dei tempi ha svincolato la donna dalle gravi e assillanti preoccupazioni del matrimonio, sicché futuro principale per le future mamme non rimane che la crescita di un “buon partito”, poiché tutto il resto non ha soverchia importanza. La nuizza prepari un po' di corredo, appronti le camicie da donare al marito, al suocero, ai cognati, al compare; il vestito, la vestaglia, la giacchetta o il semplice grembiule per la suocera, le cognate e le più prossime parenti, che visiterà qualche giorno prima delle nozze. Si provveda un bel paio di scarpe ferrate ed una gerla nuova, oltre ai pochi attrezzi rurali che porterà con sé: lasci però le dalmede, il corlo e il corletto, che non sarebbero più necessari con i nuovi costumi.

La benedizione della malga (Foto Gerardini)Fino a non tanti anni fa, le nozze si celebravano di buon mattino: il tempo allora era oro e lo sposo non doveva perdere una giornata di lavoro; la sposa doveva nello stesso giorno dar prova di capacità nel cucito sotto lo sguardo scrutatore della temuta suocera. Oggi le spose sono dispensate da sì crudele saggio (che il più delle volte non saprebbe superare) perché non è giusto si sciupino anzi tempo, dato anche che siamo nel tempo delle macchine e dei negozi. Per il fasto rito qualunque ora è buona; piuttosto si ricordi che “marte va ‘n desparte”, che “duoiba va de ruoiba”, che “ de vendre... (manca ancora la rima)” e quindi si evitino cattive conseguenze scegliendo qualunque giorno fuorché il martedì, il giovedì e il venerdì. Si scansi maggio, mese degli asini e si stia certi d'un bell’acquazzone se la ragazza ha l’abitudine “de raspà le tece”. La sposa vesta con quanto sfarzo può, alla cittadina; non segua il costume antico che vorrebbe indossare almeno tre sottane, e rinunzi pure a tutta la fortuna che deriverebbe dal portarne una a rovescio.

Lo sposo invece si studi di non dimenticare a casa l’anello nuziale, che dovrà essere benedetto dal sacerdote; sarebbe purtroppo presagio sicuro di infelicità o addirittura di morte! Sfortuna porterebbe pure la celebrazione di due matrimoni in un unica Messa. Nel viaggio per recarsi in chiesa, il corteo non deve abbandonare la via tradizionale, a meno che non occorra evitare il passar davanti alla casa di un morto. A seconda delle condizioni economiche e della serietà degli interessati, ci sia il rinfresco, il pranzo, la gita, o il viaggio, come s’usa ormai dappertutto. A tavola partecipi una larga rappresentanza dei parenti, memori del detto “dalla nozza alla fossa se cognose ‘l parentà”. Per essi non manchi a domicilio il dono di un bel piatto di crostoi.

Nella prima festa dopo le nozze, la sposa vesta l’abito nuziale e si rechi in chiesa possibilmente accompagnata dalla suocera a prendere in possesso il posto di famiglia; nella seconda festa metta l’abito nero, e nella terza il sottonuizal, continuando nelle successive a sfoggiare quanto in lei possono la condizione e la vanità. A feste finite, nessun grave pensiero: la sposa non si tolga mai l’anello, se vuole salvaguardata la felicità coniugale; cerchi di non smarrirlo, se al matrimonio non vuole provocare qualche disgrazia. Non sia mai vero, come si dice, che quando suonano contemporaneamente un’ora di notte a Lozzo e a Lorenzago si scioglie un matrimonio; e........auguri.

La religione nel popolo. - La vita pubblica e privata è pervasa da spirito religioso che, essendo assai delicato e profondo, non conosce la gretta superstizione. Alcuni modi di dire che potrebbero ritenersi dovuti ad ignoranza, rivelano piuttosto ingenuità, quando non manifestino l’umore tradizionalmente gaio delle generazioni passate. Quali numi tutelari della casa, le anime dei defunti sono presenti nella catena del focolare: questa è sempre tenuta ben alta e non viene mai scossa bruscamente: le anime soffrirebbero troppo da vicino il caldo e cadrebbero tra le fiamme. Prima di bere v’è l’usanza di versare un po' d’acqua per le assetate anime del Purgatorio. E’ andata in disuso la preghiera prima e dopo i pasti, ma rimane il segno di Croce sulla farina destinata alla polenta, e lo stesso simbolo non manca mai ad un capo del mattarello. Prima che il gregge sia condotto in montagna, il sacerdote lo benedice solennemente e per i pastori celebra la S. Messa.

L’annua benedizione delle malghe all’inizio dell’alpeggio è fatta a cura del bolco o capo gregge accompagnato dai pastori in tutti gli ambienti e nel piazzale del raduno davanti agli stalloni, recando su di un badile l’olivo fumante misto ad incenso, al canto del Miserere e del De Profundis. Ed una volta al giorno prima del pascolo il gregge raccolto nel mandrone viene benedetto dal bolco che si pone sulla serra o portale d’uscita. Agli spiriti malefici non si crede più, o meglio si sta sicuri che siano stati tutti imbottigliati durante il Concilio di Trento. Solo il folletto ha fornito argomento ai racconti delle nonne fino a qualche tempo fa. A disperdere completamente il dominio di tali spiriti, delle anguane, delle erbere, che parecchi secoli addietro occupavano tanta parte del cuore del nostro popolo, contribuì molto la scuola, che nel Cadore è tenuta in grande onore ed ha costituito, anche in tempi di gravi difficoltà d’ordine economico, la cura principale della pubblica amministrazione. Il riposo festivo è abbastanza rispettato, mentre si lavora alacremente in tutti i giorni feriali, senza badare magari alla tradizione che vorrebbe apportatore di disgrazie il lavoro nella vigilia di Natale, dell’ultimo dell’anno e dell’ultimo di carnevale.

Da sin: il M. Ciastelin o Cammello; il Campanile Ciastelin; la Croda di S. Lorenzo o Ciareido; la Forcella e la Torre S. Lorenzo. Ai piedi: il Rifugio Pellegrini (Foto Gerardini)Il Carnevale. - Sicuro, anche il carnevale vuole la sua parte di rispetto, sebbene poco rispettabile l'usanza, senza riscontro forse in nessun paese del mondo, di annerire con un panno (che conosce il fodo di tutte le pentole) chiunque si trovi sulla via, nei pubblici esercizi e perfino in casa sua. Maschera caratteristica è lo smotazin, che deve il suo nome alla funzione pure poco rispettosa di aprire il corteo del giovedì grasso e del martedì seguente schizzando la mota agli spettatori, mentre, ora con le braccia aperte ed ora battendo le mani e portandole al fianco e saltellando di qua e di là, s’atteggia a pagliaccio guidato da un compagno col mezzo di una fune, legatagli alla vita a guisa di redini. Veste di rosso con giubbetto e sottana lunga ed ampia; in capo porta un fez rosso con grosso fiocco e sul viso un artistico volto pesante di legno dalla lingua penzoloni e con un’espressione alquanto...feroce.

Chiude immancabilmente il periodo carnevalesco il pianto disperato delle maschere avvolte in bianche lenzuola e vaganti per il paese e con la lanterna accesa, alla cerca del perduto...carnevale. Cibi caratteristici. - Sono i pestarièi preparati al fuoco con acqua, latte, farina di granone e talvolta con fagioli ed altre pestarìe; la mostarda o succo di frutto del sambuco, filtrato, mescolato con poca farina di frumento, ben bollita, raffreddato e inzuccherato. Tutt’e due però sono molto greggi, d’una semplicità spartana e, sebbene assai igienici, rispondono meglio ai locali non mai abbastanza lodali principi di rigida economia, piuttosto che alle raffinatezze dell’arte culinaria. Non sono quindi merce di esportazione! Un prodotto che invece gode buona rinomatezza e che Lozzo, come probabilmente tutti i paesi di montagna, considera insuperabile, è la puinade fede, cioè la ricotta di pecora, fatta ora con latte di capra. E’ latticino veramente eccellente, che ebbe perfino la magica virtù di ammansire il Generale Gardanne, quando nel 1797 venne per incarico di Napoleone a verificare se le argenterie delle chiese erano state tutte consegnate.

"La fosca Aiarnola", la Valle di Campiviei e "il verde Comelico" visti da Pian dei Buoi (Foto Gerardini)La luna e il tempo. - Anche a Lozzo la luna conservava l’avita importanza, e a impedire la tentata detronizzazione contribuiscono assai alcune circostanze che, misteriose quanto si vuole, sono confermate dalla esperienza secolare. Assicurando ai boscaioli che le piante recise sul volto di luna, ossi fra la vecchia e la nuova, si spaccano tutte longitudinalmente; che la legna fatta durante la luna di marzo si mantiene sempre pesante ed umida e sul fuoco frigge; e che il legno reciso sul calar di luna non si restringe, come farebbe se reciso sul crescente. A questa ultima constatazione si attengono coloro che hanno bisogno di fornirsi di materiali per la costruzione di attrezzi rurali (rastrelli, slitte, ecc.). Ma la luna non s’accontenta d’ingerirsi nella vita delle piante: infatti le massaie si lagnano perché la farina di granone macinato sul volto “non rende” e la lavandaia attende volentieri il calar per smacchiare; ed il bucato, che meglio riesce sempre con la luna di maggio, si guarda bene dal farlo sul volto per non veder in brodo, ossia sfilacciata, la biancheria.

Buona regola era una volta che gli uomini si tosassero negli ultimi giorni di luna, e le donne, occorrendo, nei primi: gli uni non avrebbero avuto la noia di ripetere presto l’operazione, mentre le altre avrebbero assicurato un abbondante chioma. Ora che a questa ci tiene più l’uomo che la donna, non si sa se anche il portentoso satellite abbia invertito gli effetti della sua virtù. Influsso sicuro ha la luna sulla variabilità del tempo, e a divulgare tante utili conoscenze non mancano proverbi e detti dialettali, italiani e perfino latini. Non v’è persona dabbene che non sappia che “prima et secunda nihil, tertia signat; si quarta et quinta talis, tota luna equalis”. E questo per il tempo che farà nelle singole lunazioni. Ma v’ha una norma ancor più sicura per conoscere il tempo delle quattro stagioni: basta osservare le prime quattro giornate di marzo; esse indicano nella loro successione e mutabilità come Giove si prepari a trattare per un anno la Madre degli Dei.

La notte. - La veglia in casa del morto si fa con la recita del S. Rosario. Vi partecipano i parenti in grande numero, e loro viene offerto più volte il caffè. Quando invece la vera fame non era sconosciuta ai più, veniva offerta la polenta che, cordialmente attesa, si scodellava a mezzanotte. Alla persona più incaricata di custodire la lampada veniva una volta assegnato un pane con formaggio. Ai funerali, che si svolgevano con un concorso numerosissimo di popolo, partecipano più volentieri gli uomini che le donne .

Figura caratteristica dei funebri cortei rimane la portatrice dell’offerta destinata al parroco. Coperta di lungo scialle, viene ultima e sola, reggendo, a seconda che si tratti di fanciullo o di adulto, un pian o un quartaruò1 di segale con erettavi una candela, ai cui lati, a modo di alette, sono confitte nella cera due monete di argento. Giunta in chiesa, essa bacia la stolaall’officiante e quindi si reca in canonica a deporre l’offerta, ricevendo in dono un panino di granone o di frumento.

 

1 Il quarteruolo è la quarta parte della calvia, misura di capacità corrispondente a hl. 0,338575