BLOZ - il blog su Lozzo di Cadore Dolomiti

Demografia a Lozzo di Cadore: lo straniero resiste, l’italiano s’accartoccia

11 Novembre 2021 Cadore - Dolomiti cronache-lozzesi, demografia

Consueto riepilogo della “demografia a Lozzo di Cadore” in relazione alla componente italiana e straniera. Un sussulto positivo per lo straniero e due sussulti negativi per l’italiano: insomma, lo straniero resiste mentre l’italiano (crolla) s’accartoccia. 

Schema riepilogativo con dati al 1° gennaio 2021 su popolazione italiana e straniera a Lozzo di Cadore (di seguito quelli del 2014, del 2015, del 2016, del 2017 e del 2019). In termini relativi, ponendo a zero la popolazione del 2002, nel 2021 si registra da allora un calo del 22,6% della componente italiana (passata da 1.488 a 1.152), un aumento del 6,4% di quella straniera (passata da 125 a 133) che determinano una diminuzione del 20,3% di quella totale (passata da 1.613 a 1.285).

(per il bilancio demografico 2020 del Cadore vedi il relativo post)

Andamento demografico 2002-2021 a Lozzo di Cadore con riferimento al 2002 posto a zero: componente italiana, straniera e totale

Tabella popolazione totale, italiana e straniera tra il 2002 e il 2021 a Lozzo di Cadore (dato al 1° gennaio)

Popolazione 2002-2021 a Lozzo di Cadore: componente italiana, straniera e totale

Cadore: bilancio demografico 2020 a -10 per mille (-11,3 Centro Cadore, -12,5 Comelico, -6,7 Val Boite)

7 Novembre 2021 Cadore - Dolomiti cadoriadi, demografia

Con un po’ di ritardo rispetto al consueto (in verità la tabella era pronta a metà giugno ma… me son perso via; i dati Istat, provvisori a giugno e ancora tali, non sono nel frattempo variati) ecco il bilancio demografico 2020 per il Cadore (come ricordato, i dati sono definiti provvisori, ossia “definitivi ma suscettibili qua e là di aggiustamenti”; qui i dati del bilancio demografico del 2019).

In vetta alla classifica paesana del tracollo demografico troviamo a questo giro Cibiana con -39,5‰ seguita da San Nicolò a -35,8‰ e Domegge a -32,8‰; sul versante della “ripresa” demografica va segnalato lo strepitoso +33,8‰ di Perarolo seguito dal +24,3‰ di Borca e dal +15,6‰ di San Vito. A livello comprensoriale il peggior risultato è a carico del Comelico-Sappada (*) con un saldo totale di -12,5‰ (nel 2019 -7,4‰) seguito dal Centro Cadore a -11,3‰ (nel 2019 -8,9‰) e dalla Val Boite con -6,7‰ (nel 2019 -4,5‰). 

Nei tre comprensori i saldi naturali sono stati: Centro Cadore -12,9‰, Comelico-Sappada -12,5‰, Val Boite -10,2‰; quelli migratori sono stati: Centro Cadore +1,6‰, Comelico-Sappada +0,0‰, Val Boite +3,5‰.

Il Cadore chiude il 2020 con un saldo totale di -10,0‰ (nel 2019 -7,1‰), un saldo naturale a -11,9‰ (nel 2019 -6,4‰) e un saldo migratorio a +1,9‰ (nel 2019 -0,6‰). Provincia di Belluno a -8,5‰ (nel 2019 -4,7‰), Provincia autonoma di Bolzano a +2,0‰ (nel 2019 +3,0‰), Provincia autonoma di Trento a -1,2‰ (nel 2019 +2,7‰), Veneto a -5,5‰ (nel 2019 -1,3‰), Italia a -6,4‰ (nel 2019 -3,1‰).

Ovviamente, di coviddi un pizzichin, sicché il quadro, già funereo, è diventato lugubramente tetro (lo chiamano suicidio demografico, concetto che i giornalai de noantri non hanno ancora fatto proprio ma attendiamo a breve il rullo di tamburi…).

(*) Nota bene: i dati di Sappada, ancorché passata al FVG, sono stati mantenuti per garantire la coerenza con i bilanci demografici degli scorsi anni.

Bilancio demografico in Cadore anno 2020

NOSTALGICHE RIMEMBRANZE

12 Ottobre 2021 Attualità giuseppe-zanella, la-parola-ai-lozzesi

di Giuseppe Zanella

La giornata d’Aprile è finalmente limpida, il sole riscalda l’atmosfera con i suoi raggi che danno finalmente l’agognato tepore. Tutto sembra preludere ad una afosa estate. In giardino sento le tortore ed i merli amoreggiare giulivi. Una ragazza canta la sua giovanile felicità, di certo nutrita ed intrisa di progetti e d’amore. Il mio animo però non è in sintonia con il clima, non asseconda questa atmosfera e questa Natura che aleggia per l’aere e che dovrebbe rendere felici tutte le creature, anche quelle che, come me, vivono ormai la così detta terza età. Le membra sono stanche, i pensieri rincorrono gli eventi davvero numerosi di un passato ormai carico di anni e di nitidi ricordi. Mi assale una tristezza infinita ed inconsueta, penso sempre più al tempo che è scorso e che scorre veloce ed inesorabile ed ai rimpianti che mi procurano le opinabili scelte operate, penso agli errori commessi, alle tante ‘omissioni’ ed alla scala di valori e priorità non sempre valutata con saggezza e perspicacia.

Sono solo in casa, mi aggiro per le stanze silenziose, penso a come queste mura risuonassero, fino a qualche anno fa, del gioioso vociare e delle grida allegre dei miei figli cresciuti troppo in fretta ed ora lontani. Mi avvicino alla libreria, osservo le foto dei miei cari scomparsi e quelle più recenti e felici dei miei famigliari colti in particolari momenti e circostanze. Scorro veloce qualche libro… A caso ne traggo uno, leggendo la copertina, il titolo e l’autore: si tratta dell’opera di Mario Rigoni Stern “Aspettando l’alba”. Leggo la dedica di mia figlia: “Natale 2006/ Eccoti un bel libro di Rigoni Stern (che tanto finirai in poche ore). Mi raccomando, lasciati ispirare da questo grande scrittore per il tuo libro di memorie che stai ‘elaborando’. Un bacio ed un abbraccio dalla piccola di casa”.

Regalo allora certamente gradito, che ora rileggo tutto d’un fiato, accorgendomi che i vari racconti si addicono più che mai al mio attuale stato d’animo e sono sulla lunghezza d’onda di ciò che, all’epoca, l’autore provava guardando a ritroso le sue infinite vicissitudini di guerra e del dopoguerra con la rivisitazione, in chiave nostalgica, della sua fanciullezza vissuta felicemente nella sua Asiago e quella degli anni in cui la sua matura vena artistica si era manifestata nella pienezza della terza età. Struggenti ricordi, lieti e tristi, si affastellano in questi racconti, concisi ma molto efficaci nel delineare situazioni e personaggi. Quello dello scrittore vicentino è un “continuo viaggiare nel tempo con tenacia” e la sua molla rievocativa può essere data da un semplice rinvenire le lettere del tempo di guerra in una ingiallita cassettina riscoperta in soffitta, oppure lo sfogliare un vecchio atlante da cui “sbalzano ricordi vivi di noi vagabondi dentro la storia su nevi lontane”.

Episodi alcuni dei quali insopportabili come quello del soldato che, inascoltato, grida invano ‘aiuto’ sulla neve che lo va ricoprendo; altri sono poi gli episodi che suscitano nel lettore un mesto sorriso come quando Rigoni allude alle patate rubate qua e là nella steppa al fine di non nuocere ad un solo contadino (oh! benedetta sensibilità d’animo, pur in quei tristi frangenti!!), patate tratte dal terreno ghiacciato con un bastone chiodato: “patate con chiodo, specialità della ditta Tardivel e Rigoni”. In questo rimembrare specifici episodi di una vita intrisa di sofferenza, testimonianza di drammi e patimenti inenarrabili, l’autore rivisita in chiave letteraria la sua umana non comune avventura e fa rifulgere pagine di storia e di vissuto anche personale davvero di grande interesse artistico e documentale. Il tutto è poi soffuso di quella elegia, di quella “triste serenità” che sgorga dall’animo di un uomo in pace con sé stesso, consapevole di aver adempiuto al proprio dovere di cittadino e di soldato, di aver tanto sofferto per la realizzazione di un nobile ideale: servire lealmente la Patria e difenderla dalla oppressione straniera.

Quel Rigoni Stern che, giovinetto, avevo seguito ad Auronzo in una sua conferenza sui valori storico-culturali della lotta di liberazione ed anche in numerosi successivi interventi radio-televisivi, mi appare ora, pure prescindendo dal suo indubbio talento letterario, un uomo dalla grande nobiltà d’animo, un uomo amante della vita e della natura, un artista sensibile, delicato e buono, un cantore impareggiabile del Creato e delle qualità umane che rendono la vita degna di essere vissuta. Nel libro vengono evocati fatti di inaudita crudeltà contrapposti ad esempi di ‘discreto’ altruismo senza ‘fronzoli’, tipica caratteristica sia del corpo degli alpini come della bontà d’animo e della compassione di taluni contadini dimoranti nelle isbe steppiche. E da questa contrapposizione fra cattiveria e bontà ed altruismo scaturisce la sottolineatura della complessità dell’animo umano e della manzoniana predilezione di Rigoni nel mettere in risalto il valore universale della soccorrevole mutualità ed assistenza nel bisogno.

Altre contrapposizioni, altri ossimori letterariamente validi descritti in questa opera del Rigoni, comprensiva di ben 19 racconti, si possono trarre, ad esempio quando l’autore descrive l’ambiente bucolico dell’Altopiano dei 7 Comuni e la placidità agreste del suo borgo natio negli anni dell’infanzia e poi in quelli della terza età; il tutto ‘condito’ con le rievocazioni di episodi di caccia e con la osservazione sul fluire delle stagioni e sui cicli vitali della flora e della fauna locale. E la alta qualità letteraria di questi racconti sta giustappunto anche nella contrapposizione fra la descrizione del felice quadro dell’ambiente di “casa” con la tetraggine della descrizione della campagna di Auschwitz e della vita condotta nel lager.

Un contrappunto quanto mai valido, una specie di nemesi storica in questa descrizione dello squallore e della struttura del lager e dei luoghi circostanti rivisti a distanza di molti anni, in una geografia ed in una morfologia del tutto mutata ma pur sempre tristissima agli occhi di chi in quel posto era vissuto in modo così inumano. E la nemesi, il clou della rimembranza e della “compensazione” è magistralmente descritta in quella mela che Rigoni coglie e sbocconcella sul posto dove sorgeva la sua baracca, quasi a voler significare e saldare un conto con la Storia e gli eventi inenarrabili ivi vissuti: una mela tanto agognata in quelle lugubri giornate del 1944 ed assaporata dopo tanti anni, pur con un retrogusto amaro e “riparatorio”.

LA RICORRENZA DEL 9.10.1963 – I MIEI DOLOROSI RICORDI

11 Ottobre 2021 Attualità giuseppe-zanella, la-parola-ai-lozzesi

di Giuseppe Zanella

Ieri sera mi sono sintonizzato su Antenna Tre per seguire da Roncade la trasmissione commemorativa in occasione del 58° anniversario della immane tragedia del Vajont. Quest’anno la celebrazione ufficiale (almeno il suo clou) è avvenuta fuori dall’ambito locale per iniziativa patrocinata da vari Enti ed associazioni, in primis i comuni di Roncade, S. Biagio di Callalta e, naturalmente, Longarone. Trasmissione davvero ben riuscita, presentata da un ottimo veterano del buon giornalismo, che ha saputo coinvolgere vari testimoni e superstiti, suscitando forti emozioni e commozione in tutti i presenti e certamente nei telespettatori, specialmente in chi, come chi scrive, ha vissuto molto da vicino quella desolante e drammatica vicenda.

Tralascerò di fare la cronistoria della intera, lunga trasmissione commemorativa. Mi limiterò a parlare dei momenti più significativi quali, ad esempio, l’intervento del regista Renzo Martinelli, realizzatore del film “Vajont, la diga del disonore”, e soprattutto delle accorate, dolorose testimonianze di due superstiti, in particolare quella del maestro Gianni Olivier. La localizzazione dell’evento rievocativo-commemorativo è nata per sottolineare l’amicizia che ha legato i giocatori delle squadre di calcio del Roncade e del S. Biagio con gli allora giocatori della squadra del Longarone, molti dei quali periti nel disastro; il tutto rievocando due partite di calcio svoltesi proprio nel 1963, qualche tempo prima del disastro.

La chiesa di S. Cipriano a Roncade era gremita di autorità e popolazione coinvolta in questa tristissima ricorrenza. Ma veniamo all’intervento del regista Martinelli. Egli ha esordito citando gli articoli di Montanelli e Pansa che, all’epoca, parlarono di evento da attribuire ad un “fenomeno naturale”, non facendo minimamente cenno alle responsabilità dell’uomo, al suo bisogno di privilegiare il profitto, la ricchezza, l’ingordigia a scapito della sicurezza della povera gente che in quei borghi aveva casa. Martinelli, insomma, ha sottolineato le responsabilità di chi con il proprio operato ha “provocato” , questo sì, la reazione delle forze della Natura, la quale si è ribellata alla supponenza, forse anche alla incapacità dell’uomo di capire i limiti da porre al proprio operato per non scatenare fenomeni che, nella fattispecie, erano certamente prevedibili.

Ci furono, insomma, gli incapaci ma anche coloro che, forse, erano in mala fede, sapevano dei pericoli e tuttavia osarono sfidare le forze della Natura per abbietto tornaconto. Quello che poi ha molto colpito l’uditorio è stata la testimonianza straziante dei due superstiti, testimonianza che mi ha particolarmente toccato e mi ha spinto a scrivere questo mio intervento ricordando quello che, all’epoca, mi aveva e tuttora mi ha personalmente coinvolto come spiegherò in appresso. Il maestro Olivier, che molto ha scritto sul dramma del Vajont, ha ricordato le modalità con cui ha potuto, dopo circa tre mesi da quel terribile 9 Ottobre, rintracciare il corpo del fratello, già capitano della squadra di calcio del Longarone. Tutto è da ascrivere all’opera meritoria del fotografo Bepi Zanfron, che aveva fotografato le salme non riconosciute da congiunti o conoscenti, ed a quella altrettanto meritoria del Prefetto che aveva disposto la esposizione di tali fotografie in una sala della Prefettura.

E, sulla base di un anello che il fratello portava al dito, è stata possibile la identificazione certa del congiunto e dargli così degna sepoltura. Il rinvenimento avvenne proprio alla vigilia di quel triste Natale del 1963, ma Gianni Olivier dice che fu un Natale che consentì almeno la attenuazione di quell’ansia spasmodica accumulata nei mesi precedenti di intense ricerche. La evocazione della sala della Prefettura con le foto esposte mi consente ora di rievocare la mia analoga esperienza che ho fatto nello stesso periodo del Dicembre 1963, esperienza che mi aveva emotivamente coinvolto ed il cui ricordo è sempre vivissimo in me. Allievo della Catullo, negli anni ante il 1963, avevo come insegnante di lettere la dolcissima, brava e buona Prof.ssa Maria Antonietta Manarin, la quale mi voleva un gran bene, ed era per me quasi una seconda mamma.

Nel 1963 frequentavo l’Ist. Tecnico P.F. Calvi ma ogni settimana rientravo in Cadore per far visita ai miei. Fu così che la sera del 7 Ottobre incontrai in Stazione la mia ex insegnante e facemmo insieme il viaggio fino a Longarone, parlando, tra l’altro, delle ricorrenti voci che si susseguivano di pericoli di frane riguardanti il monte Toc. Mai avrei immaginato che quello sarebbe stato l’ultimo incontro con la mia apprezzata ex insegnate… L’indomani rientrai a Belluno ed il 9 mattina fummo svegliati da un compagno di classe che ci informò su quello che era successo nella notte… A scuola trovammo un clima di indicibile tristezza e sofferenza, con alcuni posti vuoti, compreso quello del mio compagno di banco, Cosma Renzo. Il preside Cocuzza (già mio docente alla Catullo) stava con noi cercando di consolarci e di informarsi sugli assenti. Nel caso di Cosma, si pensava che si fosse salvato perché ci aveva detto che quella sera sarebbe andato a Treviso dalla sorella per seguire la nota partita… Purtroppo non fu così…

Intanto, in quella funesta mattina, dalla finestra, vedevamo i camion militari che trasportavano nel vicino cimitero autentiche “cataste” di cadaveri. Fu davvero una terribile esperienza. Parlai con il Prof. Cocuzza della Sig.na Manarin e decidemmo di darsi da fare per saperne di più. Il papà della prof.ssa era dipendente di Cariverona, responsabile della esattoria/tesoreria, la mamma era una casalinga ed un fratello era ricoverato da lungo tempo in una clinica di Feltre per una infermità grave. Nessuno sapeva alcunché sul destino della insegnante e dei genitori. Si sperava che fossero ricoverati magari nei nosocomi di Pieve, Auronzo o Belluno. Le ricerche non dettero però esito alcuno. Finché sapemmo che era stata allestita la sala con l’esposizione delle foto dei poveri resti delle vittime. Un gruppo di medici franco-algerini era disponibile, trattandosi di esperti nella identificazione delle vittime di calamità di varia natura (c’era stato da poco il tremendo terremoto di Agadir). Accompagnai il preside in Prefettura (era il mese di Dicembre) e ci disponemmo alla visualizzazione delle innumerevoli foto. Fu una esperienza straziante.

Erano tre le immagini di altrettante vittime che, per conformazione fisica, potevano riferirsi alla nostra insegnante. Poi avvicinammo due medici algerini e dicemmo loro di alcuni aspetti fisici che potevano far propendere per l’una o l’altra soluzione. Determinante fu la descrizione di un intervento chirurgico che la Prof. Manarin aveva subito qualche tempo prima ed ancora più significativo fu il rinvenimento di alcuni oggetti a lei appartenuti e rinvenuti dagli esperti. La identificazione fu quindi possibile e la mia ansia si attenuò alquanto confortato dal fatto che almeno la mia ex insegnante avrebbe avuto degna sepoltura. Molti anni dopo, il maestro Olivier venne al mio paese per una conferenza ed io lo avvicinai chiedendogli notizie del fratello della sig.na Manarin del quale avevo saputo che ogni sabato attendeva inutilmente la visita dei suoi congiunti che settimanalmente lo andavano a trovare. Consideravo questa una tragedia nella tragedia. Olivier mi informò che il Dr. Manarin era purtroppo deceduto ormai da alcuni anni. Recandomi per ragioni di lavoro presso la ‘risorta’ Cassa di Risparmio di Longarone, potei, negli anni ’80, intravedere la targa posta all’ingresso dell’Agenzia con riportato anche il nome del papà della mia compianta insegnante.

Lozzo di Cadore Dolomiti (12 anni dopo)

8 Ottobre 2021 Botanico Palazzo, Turismo e dintorni fare-turismo, turisticando

Nel programma elettorale di Ripartiamo Lozzo c’è anche questo: Aggiornamento della cartellonistica per le indicazioni turistiche e per l’ingresso del paese.  Bene che se ne ritorni a parlare. Niente di rivoluzionario oggi come non era niente di rivoluzionario nel giugno del 2009, allorquando presso l’Auditorium questo tipo di tabellazione fu presentato ai cittadini come programma elettorale di Per la Gente di Lozzo.

Niente di rivoluzionario, certo, però con un elevato valore “simbolico”. Approfitto per segnalare ciò che avevo evidenziato a suo tempo, e cioè che oltre al messaggio di benvenuto andrebbe veicolato anche quello della dolomiticità e, soprattutto, della ladinità di queste valli.

(uno dei punti programmatici era infatti:  predisporre ed installare due tabelloni di benvenuto alle entrate del paese in cui siano chiaramente espressi i concetti di ladinità e di appartenenza alle Dolomiti)

Il giorno 1 di agosto del 2011 Per la Gente di Lozzo presentò una mozione dal titolo “Installazione pannelli di accoglienza e promozione turistica” che si può leggere a questo indirizzo. Come per altre iniziative suggerite alla maggioranza di allora, la medesima si produsse in un roboante ci abbiamo già pensato noi: infatti, coerentemente, nulla è stato fatto al riguardo.

Ribadivo allora, come ribadisco ora alla nuova amministrazione, la necessità di non perdere di vista l’insieme dei “messaggi”: benvenuti a Lozzo, paese di “quello che sarà”, e Lozzo paese ladino e dolomitico (da veicolarsi con due diversi pannelli, come sarebbe meglio, o con un unico pannello che li comprenda assieme). Al riguardo, per i nostalgici, Lozzo di Cadore Dolomiti (2009), Lozzo di Cadore Dolomiti (due anni dopo) (2011).

Da quel 2009 sono passati solo 12 anni: come diceva il Nino nazionale, per restare in ambito ladino, fusse che fusse la vorta bbona? 

Lozzo di Cadore, il paese delle cocorite

7 Ottobre 2021 Botanico Palazzo, Turismo e dintorni fare-turismo, turisticando

(pseudo precisazioni pseudo tecniche sull’argomento: Lozzo è o non è il paese dei mulini e degli antichi sentieri? — argomento già trattato il 16 luglio 2009)

Slogan turistico: Cortina non ce l’ha, Canicattì e Corfù neanche, Bordano -nel gemonese- è invece il paese delle farfalle, mentre Pieve a suo tempo, pur senza averne dato i natali, s’era proclamato paese di Babbo Natale e Auronzo, quando sì quando no, si ricorda d’essere il paese delle Tre Cime. Lozzo, dal 2002, ha provato a farsi riconoscere come il paese dei mulini e degli antichi sentieri.

Se da quel lontano 2002 la depliantistica, la cartellonistica e, più in generale, la pubblicistica riferita alle attività turistiche -su carta e online- è stata bollata con quello slogan, non è per opera dello spirito santo o del meno blasonato spirito cufoleto, ma per il semplice motivo che quello slogan era stato concordato con l’amministrazione comunale del tempo, sindaco Alessandro Da Pra.

Riprendo quello che scrissi nel post citato in apertura:

Il 4 marzo 2002 scrissi la seguente lettera-relazione al sindaco Alessandro Da Pra che incontrai, pochi giorni dopo, assieme al vice-sindaco Giosuè Baldovin, e che mi confermò di aver fatto propria l’idea […]. Ad agosto di quell’anno, come evidenziato nel post scriptum nella lettera citata, il sindaco Da Pra determinò che lo slogan con cui il nostro paese avrebbe cercato di distinguersi sarebbe stato: Lozzo di Cadore, il paese dei Mulini e degli Antichi Sentieri.

E’ poi vero che le amministrazioni comunali che si sono succedute da allora (che per quanto riguarda il turismo mi sono sempre apparse come tante cioche nte loda) hanno dimenticato questo argomento lasciandolo nel limbo (cioè evitando di prendere decisioni che confermassero, cambiassero o cancellassero quello slogan).

E’ evidente che un ipotetico consorzio turistico privato potrebbe anche immaginare Lozzo come il paese delle cocorite, facendo in modo che i propri soci possano utilizzarlo in tutte le occasioni ritenute opportune; ma nella nostra realtà è evidente che deve essere l’amministrazione comunale a coordinare la cosa e definire, se ritenuto opportuno, lo slogan con cui dare carattere al paese (in senso turistico).

Mi auguro pertanto che questa nuova amministrazione voglia affrontare l’argomento “slogan” e fare la necessaria chiarezza. Sul teniamolo, modifichiamolo, integriamolo, cambiamolo, ritorno a quanto già scritto a suo tempo:  

  • ciò che è importante, in particolare in ambito turistico, è che una mèta di soggiorno turistico sia capace di distinguersi in qualche modo, e che questa capacità sia condensata in uno slogan distintivo;
  • se lo slogan distintivo fin qui adottato, Lozzo di Cadore, paese dei Mulini e degli Antichi Sentieri, non sembra adeguato allo scopo, nessun problema, cambiamolo!;
  • se invece risulta adeguato USIAMOLO!;

Al solo ma essenziale scopo di fare chiarezza su un argomento che è più strategico di quanto non appaia, sembrerebbe poi opportuno che il Sindaco, che ha assunto a sé l’assessorato al turismo, chiarisca a tutti gli operatori i termini della questione.

Confermato lo slogan attuale o stabilitone uno nuovo, qualora lo si ritenga opportuno, ogni operatore si sentirà impegnato a diffonderlo nel miglior modo e in tutte le occasioni possibili. Quello pubblico od istituzionale su ogni documento, quello privato tutte le volte che ne avvertirà l’ opportunità.  Senza incertezze e con uno scopo comune.

————————————————————-

p.s. attenzione a non credere che il riferimento ai mulini sia dovuto a una qualche forma di singolarità che Lozzo avrebbe rispetto ad altri paesi: di mulini è pieno zeppo tutto il Veneto e tutto l’arco alpino, perlomeno lì dove c’è un corso d’acqua che attraversa o lambisce un paese; nella storia Lozzo rappresenta certamente un esempio mirabile dello sfruttamento della forza idraulica ma non più di tanti altri luoghi (vedi per esempio gli opifici sul Rio Pondarin e Rio Ostera ad Auronzo); tuttavia a Lozzo abbiamo le ricostruite ruote idrauliche che hanno un sicuro effetto scenografico.

Allo stesso tempo il riferimento agli Antichi Sentieri non presuppone necessariamente che i medesimi siano percorribili: il progetto ha avuto primariamente una valenza antropologico-culturale perseguendo lo scopo di salvare dall’abbandono l’estesa rete viaria rurale di un tempo, solo secondariamente si è colta l’opportunità di proporre una parte di questa rete – gli Anelli e Vie – come una sorta di museo all’aperto fruibile ad un selezionato escursionismo attento ai valori di carattere storico-etnografico.

 

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