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Oltre la secessione … l’indipendenza

21 Settembre 2011 Criticarium analisi-politica, autonomia, indipendenza, nazional-politik, veneto-stato

La secessione non è sempre il preludio all’indipendenza. Puoi secedere da A perché ti vuoi aggregare a B, per esempio. Vi possono essere ragioni di carattere storico che spingono in questa direzione, non fosse che per ricongiungere genti e popoli che le vicende storiche hanno magari diviso secoli prima.

La tensione all’indipendenza alimentata da motivazioni di carattere storico viene tuttavia affievolita dal tempo e dall’opera di omologazione che ogni Stato impone, non necessariamente con la forza, basti pensare alla televisione che è il mezzo di asservimento più potente di cui esso dispone. A spingere i cuori verso l’indipendenza, oltre alle giuste rivendicazioni e rievocazioni di carattere storico, bisogna che ci si metta la sfera economica.

Quando il quadro di predazione dello Stato nei confronti della realtà Territoriale cui tu fai riferimento viene ad assumere contorni abbastanza netti, allora la gente inizia a volgere lo sguardo verso l’autonomia. Se la Storia risuona ancora dei fasti passati o semplicemente risveglia una coscienza identitaria allora l’autonomia, che potrebbe bastare, assume sempre più le sembianze dell’Indipendenza.

Il Veneto non ha pozzi di petrolio, non ha giacimenti di risorse naturali che non siano la propria Storia e la bellezza del proprio territorio. Il Veneto ha tante braccia che lavorano, che rappresentano la propria ricchezza; non mancano i cervelli naturalmente, che però sono più inclini a coordinare le proprie braccia che lavorano piuttosto che a difendere la propria identità. Un istinto manifatturiero ancestrale. Quando sei troppo chino a lavorare, non ti accorgi facilmente di quello che ti succede attorno, oltre ad agevolare assalti che risultano sempre dolorosi. No, quei dolorini non sono emorroidi, hanno ancora approfittato di te.

La cura non è la preparazione H (il tiepido federalismo che forse verrà), la cura è l’Indipendenza.

i valori dell’Italia

20 Settembre 2011 Criticarium Itaglia basta-casta, nazional-politik

Dando seguito al Trota molisano, con dispiacere, ma devo sottoscrivere (il neretto è mio).

L’alternativa sarebbe dunque Di Pietro che mette suo figlio in lista, come neanche Mastella. L’alternativa sarebbe De Magistris che si inchina davanti al cardinale per baciare la teca con il sangue liquefatto di San Gennaro. E se il demagogo molisano dice che suo figlio «non è il Trota», comportandosi come quel padre che giustifica i favori concessi al pargolo denigrando quello altrui, il demagogo napoletano discetta sulla «natura identitaria» della festa del santo patrono. Finge di non sapere che l’immagine del sindaco di Napoli che omaggia l’ampolla tesagli dal cardinale ha da secoli un significato ben preciso: la sottomissione dell’autorità civile a quella ecclesiastica. Bel risultato davvero, per uno che si presentava come il sovvertitore delle abitudini sclerotizzate della città.

Non pretendevamo che disertasse la cerimonia del finto miracolo che tutto il mondo ci spernacchia. Sarebbe bastato il silenzio. E un po’ di dignità. Ecco il miracolo che molti elettori si aspettavano da lui e dal partito suo e di Di Pietro. Quell’Italia dei Valori che attraverso le gesta dei suoi volti più noti ci ha appena ricordato quali siano i valori a cui l’Italia non è disposta a rinunciare: familismo e superstizione.

Massimo Gramellini su La Stampa.it.

il GAL, l’idraulica e la farina da polenta

20 Settembre 2011 Roggia dei Mulini local-politik, pro-loco, turismo-cadorino

Il GAL, come si diceva, ha traslocato dalla sede di Gogna-Tre Ponti (dov’era in affitto presso lo stabile della Comunità Montana Centro Cadore, anch’essa in disarmo),  per prendere possesso di parte dei locali della Moschea Pellegrini.

Bisognerà aspettare qualche giorno prima che il think tank ridiventi pienamente operativo. Confidiamo che, lasciate le voci delle acque inquiete dell’Ansiei e del sacro Piave, che dalle strette gore giungevano forse soffocate, ad esso giunga forte ed argentina la voce delle bianche acque del Rio Rin, che in un ormai lontano passato hanno mosso le cigolanti ruote idrauliche degli opifici lungo la vetusta roggia.

Confido, essenzialmente, che questo rumoreggiare possa far fiorire e sospingere innanzi il già trattato, famoso e fors’anche ardito progetto “L’idraulica e la Farina da Polenta” di cui ho già trattato nell’articolo aspettando il GAL … alla Roggia dei Mulini. Devo tuttavia rimarcare che le mie perplessità di allora erano mal riposte: riguardo al passo successivamente riportato, che dà una sommaria descrizione dell’intervento, ritenni a torto che esso fosse esilarante:

In particolare il riportare al funzionamento i mulini per la macinazione della farina può, con azioni di mostrative, reintrodurre presso le popolazioni locali, l’usanza di coltivare il mais per la produzione di farina da polenta.

Mi sbagliavo. La natura umana è così profondamente insondabile. Oggi devo ammettere che chi da Loze e propio davante a chi autre. La coltivazione del mais, che si supponeva dubitativamente potesse essere reintrodotta a seguito di azioni dimostrative, è stata attuata d’imperio al solo immaginare l’evocata macina frantumatrice roteante. Un miracolo che solo a Lozzo di Cadore può accadere.

Ora che l’usanza di coltivare il mais è stata reintrodotta dalla “popolazione”, che il sogno esilarante è divenuto oggettiva realtà, al GAL spetterebbe la realizzazione del citato progetto con la sistemazione di uno dei mulini e la messa in funzione della magica macina.

Un connubbio sinergico tra pubblico e privato di rara efficacia.

Oddio la secessione!

20 Settembre 2011 Criticarium analisi-politica, fresche-limpide-letture, veneto-stato

Sempre che non dispiaccia a quelli di Repubblica che ci vogliono tutti “vicini vicini”.

Inizialmente, secessione non significa altro che spostare il controllo sulla ricchezza nazionale da un grande governo centrale ad uno più piccolo e regionale. Dipende in gran parte dalla politica regionale, se questo porterà a maggiore o minore integrazione economica e benessere. Comunque, la secessione di per sé ha un impatto positivo sulla produzione, perché una delle più importanti cause della secessione è che i secessionisti sono convinti che essi e il loro territorio siano stati sfruttati da altri. Gli sloveni si sentivano sistematicamente derubati dai serbi e dal governo centrale iugoslavo da questi dominato; i baltici non sopportavano di dover pagare le tasse ai russi e al governo russo dell’Unione Sovietica. In virtù della secessione, le relazioni nazionali egemoniche sono sostituite da relazioni estere contrattuali e mutuamente vantaggiose. Al posto dell’integrazione forzata si ha una separazione volontaria. […]

Consideriamo un singolo nucleo familiare come la più piccola unità secessionista immaginabile. Adottando un regime di libero scambio illimitato, persino il più piccolo dei territori può essere pienamente integrato nel mercato mondiale e usufruire di tutti i vantaggi della divisione del lavoro, e i suoi proprietari potranno diventare le persone più ricche del mondo. D’altra parte, se il capo dello stesso nucleo familiare decide di evitare completamente qualsiasi commercio infraterritoriale, ne conseguiranno la più nera miseria e la morte. Di conseguenza, più un paese e il suo mercato interno sono piccoli, più è probabile che esso opti per il mercato libero. […]

(articolo intero su The Front Page Per la secessione. Passi tratti dal libro: Democrazia: il dio che ha fallito di Hans-Hermann Hoppe.

Bossi dallo spauracchio della secessione al gracile federalismo di questi giorni

20 Settembre 2011 Criticarium Itaglia bossi, federalismo, nazional-politik, tra-le-righe

Sono già tornato fin troppo indietro con i ricordi per tratteggiare cos’era e cosa doveva essere la Lega nel post com’era verde la mia Lega. Un po’ di tempo prima, tuttavia, scrivevo anche che con questa Lega non ci si spara più neanche una … .

A Venezia alla “Festa dei popoli padani” Bossi ha avuto un rigurgito di secessionismo. Era ora. Se non fosse che non ha gli strumenti per orchestrare la miglior cosa che potrebbe capitare a questa Italia. Miglior cosa che non è il secessionismo così come lo vogliono dipingere. Per La Lega esso non è mai stato inteso come momento disgregativo dell’unione dei “popoli italiani”, unione che non è mai stata in discussione.  Secessione ha semplicemente il valore di un affrancamento del Territorio (con la T maiuscola, che coinvolge anche le genti che su di esso vivono con tutti i valori connessi) dal giogo del “Centralismo”.

Ma lui deve parlare alla pancia della gente. Non conosco nessun leghista che si rifiuti di pensare ad una “difesa” dello Stato, qualora vi fosse il bisogno di garantirla, che non sia “unitaria”. Ma l’unità dei popoli non può continuare a coincidere con l’unità della macchina centralista in termini fiscali. Ovvio. Se non ci fosse stato Bossi e la sua ascesa “asintotica”, la destra-sinistra non si sarebbe cagata sotto come invece è successo e non avrebbe mai neanche pronunciato la parola “federalismo”.

Bossi diceva nel 1995 cose che apparivano lunari. Oggi si trovano su internet e vanno formando, sedimentandosi, una nuova coscienza. Gli Open Data saranno il futuro dell’informazione e costituiranno la base da cui iniziare a fare i ragionamenti. Io voglio disporre di dati che descrivano situazioni, voglio misure socio-econometriche che indichino lo stato di benessere (o malessere) del mio Territorio di riferimento. Io voglio poi avere la possibilità di architetttare delle soluzioni che possano attingere alle risorse che questo Territorio ha a disposizione. Tu Stato non devi più poter depredare la ricchezza creata dal mio Territorio per alimentare spese che non sono sotto il mio diretto controllo, a maggior ragione se servono per creare e mantenere privilegi inenarrabili.

Gli Open Data sono ancora acerbi, ma in breve andranno a costituire i fondamenti della Wikicrazia, una forma di partecipazione al governo in cui i singoli cittadini potranno dare il loro fattivo contributo di idee ma anche di prassi. Bisogna solo mettere in atto la più efficace forma di governo che sia mai stata inventata: l’autogoverno. Si tratta solo di definire l’ambito Territoriale nel quale l’autogoverno deve agire: categoricamente non può essere lo Stato italiano (se non per la quota parte necessaria a far funzionare i servizi comuni).

E’ anche agitando lo spauracchio del secessionismo che il governo di centrosinistra giunse nel 2001 alla modifica della seconda parte della Costituzione con il famoso art. 119 “I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa. I Comuni … hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri …”. Una bella Costituzione. Bella un cazzo se poi resta una carta. L’Italia può dirsi da allora un paese a struttura federalista. Ma solo sulla Carta e sulla carta.

Ci sono voluti otto anni per arrivare alla legge 42/2009 che deve dare attuazione a quanto stabilito nell’art. 119 del dettato costituzionale. Ma essendo una legge delega c’era il bisogno di dar forma ai decreti attuativi che dovevano essere scritti entro il mese di maggio trascorso, termine prorogato al 21 novembre 2011 (alcuni di essi sono già entrati in vigore). Adesso inizia il periodo transitorio di 5 anni durante il quale si deve adeguare l’assetto dei vari enti chiamati in gioco.

Piace vedere Repubblica che cerca di rincuorare i propri lettori snocciolando i dati di indagini Demos che confermano che il nord non vuole dividersi dall’Italia. Non conferma altro che ciò che ho già detto. Però bisogna capire che “secessione” non ha il significato che le viene attribuito. Secessione vuol dire Autogoverno cioè, succintamente: che siano poche o tante le risorse che il mio Territorio produce, esse devono essere poste a disposizione del Governo che il Territorio si è scelto (ricordarsi sempre del valore della T maiuscola). PUNTO.

Si può discutere fino alla fine dell’anno sulla bontà “giuridica” dei decreti e sulle loro conseguenze. Sappiamo tutti che il problema cruciale sta nel definire le metodologie per giungere ai costi standard, soppiantando la ripugnante vergogna del costo storico che solo uno Stato di merda, senza alcun rispetto per i propri cittadini, può adottare come sistema di allocazione della spesa.

Ma se non c’era Bossi  ad agitare lo spauracchio del secessionismo padano, questo gli va riconosciuto, non avremmo a disposizione questa nuova struttura federativa, imberbe e vacillante perché giovane, che però può iniziare, finalmente, a produrre eguaglianza. Peccato che Bossi, nel suo agire da capopopolo, sia oggi l’ombra di se stesso e che la Lega non sia più così verde, liberale e riformatrice com’era agli albori.

 

inebriarsi con i grafici del debito europeo …

20 Settembre 2011 Criticarium Itaglia

Della serie una immagine vale più di 1.000 parole. Se poi l’immagine è un grafico il discorso è ancor più vero. Soggetto: crisi del debito europeo. Come si segmenta quella faccenda che si chiama crisi? La cosa migliore è fiondarsi al link della Reuters e papparsi i grafici uno per uno, compresi quelli “interattivi”. Provate a vedere cosa succede smanettando sul grafico “Bank stress test calculator” (aumentando lo slider …).

Oppure si può dare una occhiata ai grafici più “ohoooo” su Rischio Calcolato. Vedete voi.


Italy%20exp Tutti i Grafici Possibili e Aggiornati per Capire la Crisi del Debito Europeo

Grafico: Zero Hedge

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