BLOZ - il blog su Lozzo di Cadore Dolomiti

lo strenzi autofertilizzante (dei malati d’Europa che stanno meglio…)

13 Novembre 2015 Criticarium Itaglia strenzi, supercazzole, verso-il-default

Lo strenzi è autofertilizzante. Metti, per esempio, quando dice “Dicevano che eravamo il malato d’Europa, oggi siamo quelli che stanno meglio di quasi tutti gli altri“. E’ una stronzata. Per capirlo basta osservare il grafico sottostante (l’italietta è quella rossa). Ma lui non lo sa: è davvero convinto di quello che dice. E’ in modalità autofertilizzante.

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(via @ThManfredi)

 

Parco della Memoria (PdM): desolazione e abbandono al Col dei Laris /1

12 Novembre 2015 Botanico Palazzo, Pian dei Buoi cai-lozzo, cronache-lozzesi, lozzofifa&fuffa, parco-della-memoria, sviluppo-pian-dei-buoi

Anche per le postazioni del Col dei Laris vale la narrazione già proposta per le precedenti segnalazioni di desolazione e abbandono, quelle relative alla postazione a nord-ovest del Forte Basso (vedi qui, quo e qua).

Ripeto: non c’è niente di propriamente invalicabile, ma è profondamente vergognoso che le postazioni già sistemate si debbano (eventualmente) raggiungere tra gli schianti, il groviglio di rami e il conseguente degrado ambientale; in buona sostanza, questo patrimonio o è Parco della Memoria, e allora va tenuto “a parco”, o è riserva naturale integrale, nel qual caso si può lasciare così com’è (più integrale di così…).

D’accordo: gira e rigira, qui sulla dorsale che va a Col Vidal, le montagne son sempre quelle. Sì, quello che cambia è lo scorcio. E là, sul Col dei Laris, a quota 1834, ti puoi anche tuffare dentro la Croda dei Toni.

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CENNI STORICI SU DI UN’ALTRA STIRPE IMPORTANTE DEL NOSTRO PAESE

12 Novembre 2015 Cultura, Informa-Lozzo giuseppe-zanella, la-parola-ai-lozzesi, storia-di-Lozzo

Con riferimenti particolari alla figura di Marco Baldovin Carulli

di Giuseppe Zanella

Come già fatto nel passato (leggasi, ad esempio, storia del ceppo Zanetti), mi accingo a trattare, seppur per sommi capi, della progenie dei Baldovin, numerosa stirpe che ha dato alla nostra comunità molte figure di spicco che si sono distinte nella conduzione della Cosa Pubblica ed hanno lasciato una impronta indelebile nella realtà locale per attaccamento alle Istituzioni civili e religiose e per la dedizione e cura del bene collettivo mediante la partecipazione alle varie associazioni di volontariato e nelle più disparate forme di promozione sociale. Nella comunità locale, come del resto in tutto il comprensorio cadorino, fino al XIV° secolo, non era invalso l’uso dei cognomi e le persone venivano individuate dal nome di battesimo seguito dal nome del padre o della madre, oppure dal mestiere praticato dagli ascendenti o dalla località abitata; non di rado, questa aggiunta al nome di battesimo era seguita da una preposizione (di, de, da, del).

Più tardi, queste aggiunte divennero veri e propri cognomi, cui si introdusse, successivamente, l’abitudine della attribuzione di nomignoli o soprannomi di varia natura, al fine di poter distinguere i vari rami in cui si stavano suddividendo le originarie ‘dinastie’. Il tutto per ovvie ragioni di correntezza, anche allo scopo di evitare omonimie ed il ripetersi, nelle famiglie consanguinee, dell’uso degli stessi patronimici. Il cognome Baldovin seguì pertanto lo stesso andamento subìto dai numerosi cognomi veramente ‘autoctoni’. Di cognomi veramente originari, se ne annoveravano ben 19 (poi divisi in vari sotto ceppi) dei quali 8 andarono estinti e gradualmente rimpiazzati da altrettanti, subentrati nella Regola locale mediante il pagamento di una vera e propria ‘tassa di ingresso’ alquanto onerosa (con immissione negli anni che vanno dal 1630 al 1884). Per inciso, ora la modernità e la facilità di comunicazioni e spostamenti, ha portato in paese una miriade di residenti dai cognomi dalle più disparate origini e provenienze…

Ma torniamo ai nostri autoctoni ‘Baldovin’. Il ceppo originario, fin dall’antichità, era definito “Baldovin Monego” ed esso è tuttora esistente come emanazione del tronco originario da cui, per intendersi, proveniva anche il defunto comm. Ezio Baldovin del quale si è recentemente tracciato un profilo. Ma perché il soprannome ‘Monego’? Probabilmente per via del ripetersi dell’attribuzione a vari componenti della famiglia della mansione di sacrestano, alias ‘nonzolo’, nel nostro dialetto definito proprio con il termine ‘monego’. Con il tempo, il ceppo d’origine si divise in vari sotto gruppi. Un discendente della stirpe, il dott. Coker Giovanni, laureato di fresco in scienze diplomatiche, dopo accurate ricerche, ha redatto un albero genealogico che va dall’epoca del concilio di Trento fino ai giorni nostri e dal quale si evince la suddivisione subìta storicamente dalla numerosissima progenie.

Sappiamo che, oltre ai Baldovin Monego propriamente detti, il parentado si divise in Baldovin Monego Carulli, Baldovin Monego Ciori, Baldovin Monego Ono, Baldovin Monego Susana, Baldovin Monego Cervo, Baldovin Monego Brentele ed altri ancora. Il nonno materno del dr Coker, il sig. Ciro Baldovin, recentemente scomparso, ha lasciato degli scritti sulla ‘dinastia’ dai quali si evince sinteticamente la storia dei primi tre ceppi (‘Carulli’, ‘Ono’ e ‘Ciori’). Noi fissiamo la nostra attenzione sul ramo Carulli al quale appartenne il sig. Ciro e, in linea collaterale, appartiene anche il dr Coker.

Le notizie in nostro possesso risalgono al bisnonno del sig. Ciro, tale Baldovin Mariano, sposato alla lorenzaghese Maria Grazia De Mas dalla quale ebbe 8 figli di cui 4 maschi (Giuseppe, Marco, Giovanni e Gaspare). Il sig. Mariano fu pubblico amministratore per molti anni, esercitò il commercio del legname ed era anche dedito alla agricoltura. Il figlio Gaspare sposò Maria Da Pra di Lozzo dalla quale ebbe ben 11 figli (6 maschi e 5 femmine). Gaspare Baldovin Carulli fu sindaco di Lozzo per varie legislature (decine di anni). In famiglia tutti lavoravano la terra, gestivano un mulino ed il sig. Gaspare gestiva anche la segheria comunale per la produzione del legname da costruzione che veniva assegnato dall’Ente Comune ai cittadini, mentre lo stesso Gaspare produceva in proprio legname per la sua attività commerciale. I figli si chiamavano Giuseppe, Giovanni, Marco, Mariano, Arcangelo e Floro ed avrebbero dato origine ad una numerosissima ‘schiatta’ di figli e nipoti.

Da ricordare che una figlia del sig. Gaspare -Marianna- andò sposa al vedovo Salvatore Fabbiani (padre del prof. Giovanni) il quale, in prime nozze, aveva sposato la sorella di Melchiorre Baldovin Monego, tra l’altro genitore del già citato comm. Ezio Baldovin. Marco Baldovin Carulli, terzo figlio maschio e futuro genitore del sig. Ciro, frequentò a Cortina la scuola d’arte al fine di impratichirsi nel disegno tecnico e nei lavori di falegnameria. Lo scopo del padre Gaspare era quello di avviare una falegnameria da gestire unitariamente da parte dei 5 figli (Giuseppe era, nel frattempo, deceduto) legati da un rapporto molto stretto e solidale; il tutto doveva avvenire sotto l’egida dell’ex studente modello Marco, elemento dotato di inventiva e manualità di rilievo, assai versatile sotto i profili sia tecnico che amministrativo. E la robusta e coesa compagine famigliare seppe affrontare con successo la prova di esordio imprenditoriale avviando una attività dalle lusinghiere prospettive.

A questo punto va detto che la famiglia Baldovin Ono ( i cui componenti erano, come si è visto, stretti parenti dei Baldovin Carulli) possedeva all’inizio del paese, sulla destra orografica del Rio Rin, una casa con annesso mulino. I componenti di questa famiglia decisero però di emigrare in Argentina (a Mendoza) e così vendettero il loro immobile al sig. Gaspare, padre del quintetto imprenditoriale appena formatosi. Venne alfine costituita la soc. “Fratelli Baldovin Carulli” avente come oggetto sociale multiplo: attività di segheria, falegnameria e produzione di energia elettrica. La attività della società registrò subito un notevole impulso, tanto che si dovette costruire, in prossimità della località Ronzie, una prima centralina elettrica funzionante con due ‘gruppi’ da 30 cavalli ciascuno. Tutto si svolgeva sempre sotto la attenta guida del sig. Marco Baldovin, vero dominus della società, coordinatore della azione dei fratelli, ognuno destinatario di specifiche mansioni secondo l’indole di ciascuno essendo, comunque, tutti in possesso di quel carattere inconfondibile che faceva di essi dei perfetti, autentici ‘genialoidi’.

Nel giro di pochi anni lo sviluppo assunto dall’azienda richiese la costruzione di una centralina più potente allocata nella parte alta del paese, fornita di due turbine da 50 e 80 cavalli. Il progetto fu redatto dal futuro ingegner Mario Baldovin, figlio del cugino Melchiorre, e firmato dall’ ing. Barcelloni Corte di Belluno. Fu così che Lozzo, dall’era delle candele e delle lanterne a petrolio, passò all’era moderna della elettrificazione esterna ed illuminazione delle principali vie del paese, nonché alla illuminazione delle abitazioni; tutto grazie alla sagacia e lungimiranza di questa famiglia composta da autentici pionieri. L’energia elettrica prodotta serviva anche alla attività di segheria e falegnameria gestita dai Baldovin e fu, in nuce, fonte dello sviluppo artigianale ed industriale moderno per l’intera comunità. Lozzo giunse al punto di annoverare decine di segherie e falegnamerie, senza contare la miriade di altre attività artigianali e la successiva produzione di occhiali, lenti, astucci ed indotto di varia natura. E con l’energia elettrica prodotta ci fu, seppur in maniera più contenuta rispetto ai paesi contermini, anche un primo avvio di una certa attività di ricettività turistica con l’affitto estivo di alcuni vani che molte famiglie riservavano e destinavano a questa nuova forma di ausilio collaterale alla magra redditività del tempo.

Ma anche la nuova centralina di Prou doveva rivelarsi presto insufficiente in seguito allo sviluppo della elettrificazione del paese ed in conseguenza dell’uso dell’energia elettrica a beneficio dell’azienda famigliare e di altre realtà in fase di espansione produttiva. Marco ed i fratelli progettarono allora e realizzarono in loc. Le Spesse un bacino idroelettrico da 7 mila mc. E nel contempo venne costruito un macchinario che, bruciando segatura, produceva gas da immettere in una camera a scoppio accoppiata ad un generatore di 80 cavalli, tale da consentire l’entrata in parallelo (uso alternato) con la centrale elettrica attiva di giorno; con tale sistema si consentiva alla diga di poter riempirsi d’acqua durante la notte. Sistema ingegnoso, antesignano dell’uso attuale del cippato per i sistemi a biomasse.

Negli anni del tardo secondo dopoguerra i fratelli addivennero alla decisione di dividere le varie attività (in precedenza, Floro ebbe anche una esperienza di emigrante in Australia e, a questo proposito, significativo e preveggente appare l’atto privato, stilato tra i f.lli in data 7.4.1925, con il quale si procedeva alla liquidazione della quota del recedente, prevedendo, con indicazioni particolareggiate, le clausole nel caso di eventuale reintegro nella società). Dalla suddivisione, a Giovanni ed eredi venne destinata l’attività di produzione di energia elettrica, a Marco ed eredi la segheria posta nella vecchia dimora dei Baldovin Ono (destra orografica del rio Rin); Floro (rientrato dall’Australia), Arcangelo e Mariano si dettero in seguito a singole attività di falegnameria, segheria e mobilificio (sinistra orografica del rio Rin).

La centralina di Prou, dismessa da qualche anno (ma comunque ancora perfettamente efficiente), e ora adibita ad elemento museale di ‘archeologia’ industriale e viene fatta visionare a numerosi gruppi turistici, scolastici ed amatoriali in uno con la visita alla Roggia dei mulini. Baldovin Marco ebbe l’opportunità di vedere i propri eredi trasferire la loro attività in quel di Belluno dove ha trovato allocazione un importante deposito per il commercio legnami (anche esotici), attività ora efficacemente condotta dai nipoti Marco e Claudio.

ATTIVITA’ DEL SIG. MARCO BALDOVIN CARULLI NEI CAMPI SOCIALE, CIVILE, AMMINISTRATIVO E POLITICO.

Il nostro era molto ‘coinvolto’ nella vita della comunità a tutti i livelli. Sulla scia del nonno Mariano e del padre Gaspare, fu pubblico amministratore e, negli anni ’50, anche sindaco del paese (avendo allora come vice il ‘cugino’ comm. Ezio Baldovin) ed in tale veste avviò a soluzione, con esperienza tecnica notevole, il problema dell’acquedotto di Faé. Fu anche, per lunghi anni amministratore e fattivo presidente della Cooperativa di Consumo, nonché della Latteria Sociale. Insieme poi all’altro personaggio ‘eclettico’ del paese, Valentino Calligaro Scott, alias Tini Scotin, del quale pure è stato tracciato da chi scrive un dettagliato profilo, Marco fu particolarmente attivo nella vita religiosa della parrocchia ed in quella civile del borgo natìo. Ricordiamo soltanto la realizzazione, operata dai due, del bellissimo altare di Cristo Re nella vecchia Chiesa Parrocchiale e, per il secondo aspetto, la costruzione del monumento ai caduti in Piazza IV Novembre. Infine, va segnalata la sua pluriennale esperienza come amministratore dell’Asilo Infantile.

Marco Baldovin, che era nato a Lozzo il 7.5.1888, ivi chiuse la sua operosa esistenza il 12.11.1973, all’età di 85 anni.

 

l’assessore alla caccia della Provinciazza e i cartoni animati (con i cuccioli che parlano…)

11 Novembre 2015 Giornalando giornalando, il-cadore-in-calore

Oltre a un articoletto sul più giovane abbattitore del Cadore, il Cadore ospita un’intervista a nientepopodimeno che l’assessore alla caccia della Provinciazza, tale Pier Luigi Svaluto. Intervista graffiante e incalzante come mai, sullo stile di Fazio, lo zerbino piddone di Rai 3.

Spassoso, davvero spassoso, quel tratto nel quale il nostro espone le ragioni socio-antropologiche alla base del… crollo di “iscritti”:

[…] Oggi chi pratica la caccia viene demonizzato e criminalizzato da una parte della società. C’è una cultura anti caccia che è stata alimentata da tutta una serie di programmi televisivi nei quali gli animali vengono assimilati agli umani.

Un gulag culturale insomma, una caccia alle streghe. Il nostro continua tuffandosi – veramente – nelle oscure profondità dell’umana coscienza, confezionandoci questa perla di indubbio valore speculativo:

E questo ha alterato e manipolato la realtà che invece ci dice che il cervo è un selvatico.

Capitttttoo? Il cervo è un selvaticooooo !!

Ma il tutto diventa orgasmico quando l’assessore osserva che…

Pensiamo solo a certi cartoni animati che hanno per protagonisti i cuccioli che parlano e che si affezionano ai bambini. E’ ovvio che la parte del cattivo spetta al cacciatore.

Però, pur malmenati, torturati, seviziati, pestati, strapazzati, i nostri abbattitori, oops, cacciatori, rialzano la testa…

Ma dopo tanto martellamento anticaccia, devo dire che qualcosa sta cambiando.

(basta cattive compagnie?) E dopo questo brevissimo momento thriller, la narrazione torna nel solco della commedia italiana.

Poveri cacciatori. E che tenerone questo nostro assessore alla caccia della Provinciazza. Perché noi, ingenuamente, avevamo un’idea leggermente diversa di questa lobby. Pensavamo fosse la lobby più agguerrita d’Italia, piena zeppa di appoggi politici radiali, ortogonali, trasversali, con un’infinità di deroghe nel tempo e nello spazio. Una lobby che muove 3 miliardi di fatturato (nonostante i cartoni animati ahahahah) non è uno zuccherino.

Ora, vi prego, cercate di fare lo sforzo di immaginare il Grande Fratello che sta alle spalle di questa diabolica macchinazione, di questo efferato complotto che si consuma ai danni degli abbattitori. Veicolato da una Spectre animalista che, utilizzando la televisione ed i cartoni animati, lava il cervello dei putti via via che crescono fino a farli diventare talebani anticaccia senza se e senza ma, esso mira a “demonizzare e criminalizzare” i cacciatori privandoli, essenzialmente, della possibilità di “festeggiare l’abbattimento di un compagno di squadra come se fosse tuo, con gioia e davanti a un bicchiere di vino“.

Converrete che valga la pena, per noi tutti e senza ulteriori indugi, di accogliere con insperata gioia la notizia secondo la quale, “dopo tanto martellamento anticaccia“, “qualcosa sta cambiando“.

(e due paroline sui referendum contro la caccia, vinti col 92%, ma che abbiamo preso nel culo, ce le facciamo dire dall’assessore?? naturalmente colpa dei “loonely tunes“, del martellamento anticaccia… ma vaffangala va)

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in treno a Cortina nel 2021: e come macchinista la marmotta…

11 Novembre 2015 Politica nostrana, Viabilità cadoriadi, dolotreno, supercazzole, Viabilità

La carrozza sarà tutta lilla, con le nuvolette bianche verso il tetto; oltre alla fauna locale, per conferire un “tocco di esotico” ci dipingeremo le cocoritas intente ad amoreggiare e qualche tucano. La motrice sarà dotata di 12 coppie di buoi e tutto il convoglio sarà guidato dalla marmotta, quella che confezionava la cioccolata.

(magari si farà, ma, suvvia, da qui al 2021 ci si può solo scaccolare…)

treno2021

Parco della Memoria: desolazione e abbandono a un passo dal Forte Basso /3

10 Novembre 2015 Botanico Palazzo, Pian dei Buoi cai-lozzo, cronache-lozzesi, lozzofifa&fuffa, parco-della-memoria, sviluppo-pian-dei-buoi

Abbiamo brevemente visto prima il recupero in chiave “storica” di una delle tante postazioni del Parco della Memoria, successivamente, legato alla medesima postazione, il suo recupero in chiave paesaggistica.

Il tutto realizzato da volontari a costo zero creando valore “spendibile” a favore di tutta la comunità.

E allora perché… – mi chiedevo e mi chiedo – l’Amministrazione comunale di Lozzo e la locale sezione del Cai (che questo progetto ha portato avanti, tramite volontari, per ben 10 anni), non sono oggi in grado di garantire non tanto, si badi, lo sviluppo del Parco, quanto la fruizione turistica della porzione di Parco che – dai volontari di cui sopra – è già stata approntata?

Ripeto:

come mai non sono in grado di garantire – banalmente e semplicemente – la fruizione turistica della porzione di Parco che – dai volontari di cui sopra – è già stata approntata?

Da un sindaco che si riempie costantemente la bocca di proclami sul valore che Pian dei Buoi ha per la comunità di Lozzo:

“[…] l’intera comunità di Lozzo che, da sempre, considera Pian dei Buoi una vera opportunità turistica…”

ci si aspetterebbe un’attenzione diversa, almeno per

quello che già è stato fatto !!!

Però poi mi dico che da un sindaco che non riesce ad andare oltre il casino, l’abbandono, l’incuria, la negligenza, la desolazione, la trascuratezza in cui è lasciata la caserma di Soracrepa e i suoi dintorni, forse la semplicità di tutto ciò è, realisticamente, chiedere troppo.

 

E anche tu, caro signor Cai, che a Pasqua di quest’anno scrivevi queste cose:

[…] Sarebbe opportuno inoltre, approfittando della ricorrenza del centenario della prima Guerra mondiale far conoscere e valorizzare le fortificazioni di Col Vidal portate alla luce negli anni scorsi dai volontari con la collaborazione del CAI, coinvolgendo nella prosecuzione di questo ambizioso progetto anche altre associazioni e realtà locali.

non sei proprio in grado di “alzarti in volo”, non riesci a prendere per le mani neanche gli schianti?

Lasciatelo dire:

se proprio non riesci ad alzarti in volo, anche un cininin così, tira almeno fuori la testa dalla sabbia.

Lo schianto che si vede ostruire la stradina verso la postazione non è invalicabile, non è il muro di Berlino, ovvio; pur tuttavia il turista, nella generalità dei casi, non l’oltrepassa. Perché negare a questa gente il gusto che può avere un panino imbottito consumato di fronte a cotanta bellezza poggiando le terga su una postazione della Grande Guerra?

(a breve, altri schianti in arrivo…)

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