BLOZ - il blog su Lozzo di Cadore Dolomiti

l’ennesima vacanza estiva nel mio ‘derelitto’ Cadore

25 Gennaio 2011 Cadore - Dolomiti, Politica nostrana analisi-politica, giuseppe-zanella, la-parola-ai-lozzesi, lavoro-occupazione, sviluppo-montagna

Non è semplicemente uno scritto “nostalgico” velato di melanconici ricordi. Vi è certo, nella prima parte, una lontana tristezza nelle parole vergate da Giuseppe Zanella. Ma poi giunge l’impeto che contraddistingue l’animo di chi non si accontenta di osservare lo scorrere anonimo del tempo, con tutte le sue conseguenze, ma ne vuole dare puntuale descrizione. Ecco allora che egli mette in luce, con disincantato distacco, le varie problematiche che avvolgono la nostra situazione, contribuendo poi a tracciare con lucidità i contorni di alcune possibili soluzioni. Una lettura istruttiva, da qualunque parte della “storia” ci si trovi seduti.

di Giuseppe Zanella

Anche quest’anno ho potuto godere di serene vacanze trascorse nel paese dove sono nato: Lozzo. La vecchia casa materna soddisfa ormai soltanto alla mia esigenza di un refrigerio estivo, unito alla intima gioia che sempre mi procura questo mio periodico ritorno alle origini, l’abitare quelle vecchie mura che evocano in me nostalgici ricordi di quando quella dimora echeggiava delle voci e della presenza di tutti i miei cari. Il ritorno costì, con la riapertura della casa avita, mi procura sempre una dicotomia di sentimenti, di contrastanti sensazioni: da un lato infatti l’arrivo rallegra il mio animo e mi fa rivivere, con un improvviso tuffo nel passato, gli anni della mia pubertà e della mia giovinezza; dall’altro, paradossalmente, questa rivisitazione del luogo che più di ogni altro rappresenta le mie radici ed il mio passato, intride il mio animo di intima malinconia in un coacervo di rimembranze di episodi lieti e meno lieti.

Rivedo come fosse ieri fotogrammi di vita, persone care, fatti, situazioni, luoghi, tutti rimasti in modo indelebile nella mia memoria (sono trascorsi invece molti decenni!). Quest’anno contingenti ragioni hanno fatto sì che molto del mio tempo fosse trascorso in solitudine (mio figlio e mia moglie hanno potuto soggiornare a Lozzo soltanto per un paio di settimane, mentre mia figlia ha voluto trovarsi un lavoro in quel di Laggio e pertanto la sua permanenza nella vecchia casa era limitata al solo pernottamento). Sarà forse per questo motivo che il mio “passato” è potuto riaffiorare così prepotentemente e la malinconia si è fatta più che mai sentire. Ho cercato di ovviare con molte buone letture e con le passeggiate con gli amici di sempre: il Dr. Franco Casoni e l’Ing. Gaetano Baldovin. Per me insomma, ormai attempato, il soggiorno in paese significa incontri con la gente, dialogo con i conoscenti, in particolare con gli amici che, come me, dimorano fuori e rientrano nei mesi estivi. E, sovente, i colloqui vertevano e vertono sul raffronto che gli oriundi, gli ‘autoctoni di ritorno’ sono soliti fare fra il paese che è stato e quello che ora è. Molto spesso il confronto veniva e viene impostato sulle variazioni intervenute anche nell’ultimo anno….

E quanti cambiamenti un occhio attento può scoprire!! E non sempre, purtroppo, si tratta di mutamenti in positivo. Quanti problemi presentano i borghi di montagna!

La crisi economica morde forse più che altrove, poche sono rimaste le piccole realtà artigiane ed industriali del comparto occhiali; nonostante il gran parlare che si fa, uno sviluppo turistico è di là da venire, langue la ricettività, compressa come è dalle maggiori (anche se non eclatanti) opportunità offerte dai paese vicini (per non dire dell’impari raffronto con le offerte esterne, in particolare quelle del vicino Alto Adige). La denatalità, l’invecchiamento della popolazione, la fuoriuscita dal circuito economico delle giovani leve, la sottrazione di servizi essenziali, la mancanza di valide infrastrutture nel settore viario e dei trasporti costituiscono tutti elementi di una realtà che preoccupa la intera collettività e dovrebbe impensierire le civiche amministrazioni locali. Queste ultime, con le dovute eccezioni, si stanno pronunciando con tutta una serie di auspici encomiabili finché vogliamo, ma non forieri, fin qui, di concreti ed efficaci provvedimenti.

Manca, a modesto avviso di chi scrive, una visione di insieme ed una forza contrattuale da spendere in campo politico con la dovuta urgenza ed efficacia. Le ragioni possono essere individuate, ad esempio, nella carenza dei numeri (più la montagna spopola, meno essa può contare nelle sedi deputate alle decisioni politiche con mirati interventi a sostegno dello sviluppo), oppure, magari, nella qualità stessa della classe dirigente politica che non sa mettere in campo una azione coordinata per farsi valere. Sta di fatto che la situazione denota uno stallo ed una visione limitata all’ambito dei campanili, senza un valido ed opportuno coordinamento ed una sintesi delle istanze da portare avanti. Ogni Comune pensa al suo particulare senza preoccuparsi di far adottare da Roma come da Venezia o da Belluno provvedimenti generali atti all’indispensabile rilancio della Montagna.

Il tutto con una progettualità che spazi dal rilancio del turismo (con l’introduzione, ad esempio, del concetto dell’”albergo diffuso”), alla cura del territorio (con politiche favorenti l’accentramento della frastagliata proprietà fondiaria da parte di società miste pubblico-private e la cura selettiva del bosco con la creazione di un reticolo di strade di penetrazione, con la ripresa in grande stile dello sfalcio dei prati); dall’insediamento di infrastrutture su strada e su rotaia, alla creazione di realtà di ricerca scientifica in fattiva collaborazione con atenei veneti e non solo (penso ad un polo per le nanotecnologie, oppure ad un centro di ricerca sulle politiche agricole-silvo-pastorali-zootecniche); dalla riproposizione di una agricoltura di montagna su nuove basi (incentivi per la creazione di stalle sociali e sviluppo di prodotti lattiero caseari con marchio locale cadorino), alla incentivazione e sviluppo della industria e dell’artigianato del legno (con lo sviluppo del commercio del legname e ad incentivi per la creazione di nuove realtà di segherie e falegnamerie); dalla ricerca e dallo sviluppo della rete museale e dei siti di archeologia-industriale, al recupero dei centri storici ed al conseguente blocco dell’utilizzo del territorio con il divieto di nuovi insediamenti abitativi (seconde case nelle zone verdi trasformate, per speculazioni edilizie, in aree edificabili).

Tanto altro ancora ci si potrebbe ‘inventare’ per dare nuovo impulso ai languenti borghi della nostra montagna. Per ora, purtroppo, questa inversione di tendenza negativa sotto il profilo civile, sociale ed economico non è alle viste per l’acuirsi della crisi, il profilarsi di nuovi tagli alle pubbliche finanze, il venir meno di servizi assistenziali e sanitari essenziali e quant’altro. A Venezia come a Roma contiamo assai poco per evidente carenza dei numeri e per l’assenza di figure politiche di spicco che sappiano farsi portavoce delle nostre giuste istanze. Se l’andamento attuale dovesse continuare per un paio di generazioni la situazione diventerebbe veramente tragica per il permanere della vita in montagna.

I consiglieri regionali della pianura ed i deputati nostrani, invece di parlare di autonomia o, quanto meno, di vera specificità del Bellunese (e del Cadore in particolare), preferiscono eludere i problemi parlando genericamente di eventuale specificità della montagna in generale, con questo procrastinando alle calende greche l’esigenza di affrontare situazioni di grave disagio che richiederebbero tassativi, urgenti e radicali rimedi. Sappiano lor signori che se non si salva la montagna anche il destino della pianura apparirà presto compromesso…Non sono un pessimista e tanto meno un disfattista: quello che ora ho appena scritto è quanto effettivamente vedo, constato e sento: spero solo di aver dato un modesto contributo al fine di svegliare dal torpore chi può e DEVE intervenire.

Della Comunità Montana unica cadorina (seconda parte)

24 Gennaio 2011 Cadore - Dolomiti, Politica nostrana comune-unico, comunità-montana, local-politik

Nessuno nega che si possa manifestare, in tutte le cose che accadono in questo mondo, un momento in cui “subentra la redenzione”. Lasciamo pure viva, quindi, la possibilità di credere che le cazzate del passato possano anche non ripresentarsi nel futuro. Ci credo poco ma è possibile.

Ciò non toglie che uno sguardo alla “storia passata” possa essere oltremodo educativo (perlomeno didattico).

Si diceva della opinione di alcuni sindaci di architettare un ente comunità montana unico per tutto il territorio cadorino (vedi articolo Della Comunità montana unica cadorina parte prima).

Elezioni amministrative del 6 giugno 2009. Per eleggere il nuovo presidente della CM Centro Cadore ci sono voluti più di 6 mesi (vedi mio post del 10 dic 2010, Comunità Montana Centro Cadore: ancora nessun rinnovo delle cariche e l’articolo del gazzettino 22 dicembre 2009). Se si fa una comunità allargata a tutto il Cadore, la probabilità che finisca la legislatura prima che si sia deciso il nuovo presidente non saranno così remote.

Avete presente le ultime dispute sulla sede della CM Centro Cadore? Non hanno più spazio, capite? Ora che attraverso le CM passa tutta la programmazione delle attività dei comuni associati (ciò che ho appena scritto è una fesseria, lo so …) è venuto il momento di spostare la sede in un luogo più baricentrico.

Se ne faranno una unica per tutto il Cadore ci sarà il bisogno, oltre alla sede principale, di quelle periferiche (ovvio, no?). Nel caso del Centro Cadore siamo fortunati: quella che si dovrebbe aprire a Calalzo sarà la sede occidentale, quella attuale di Gogna sarà quella orientale.

La CM unica non funzionerà (dal punto di vista dell’efficienza dell’ente); non potrebbe essere altro che una copia più grande di quella che già ci sta sotto gli occhi. Potrà funzionare visto con gli occhi del politico (ogni sindaco avrà la sua poltroncina).

Potrebbe funzionare se al posto dei partiti e delle conseguenti logiche spartitorie ci fosse un solo partito, come la SVP in Alto Adige. Chiamatelo “Partito della Montagna”, “del Cadore”, “Movimento Dolomitico”, chiamatelo come vi pare: finché i nostri rappresentanti vestiranno i panni dei “politici” più di quanto non siano disposti a vestire quelli di amministratori del territorio, non ci sposteremo di un millimetro.

(Della Comunità Montana unica cadorina: il canto del gallo (epilogo)

Le ragioni del referendum bellunese spiegate alla gente delle province autonome di Trento e Bolzano

23 Gennaio 2011 Autonomia, Cadore - Dolomiti autonomia, belluno-autonoma, referendum-autonomia, trentino-alto-adige

Sempre ripreso dal sito di Belluno Autonoma. Secondo me, più che essere utile alla gente delle province autonome di Trento e Bolzano (certamente lo è), questo primo chiarimento sarà utile ai troll bellunesi (i bellunioti), che senza approfondimento alcuno, sprofondati nella palude della più cupa rassegnazione, vanno infliggendosi pene corporali e spirituali negando a sé stessi la possibilità di un futuro migliore. Ritenere che l’autonomia che cerchiamo non risolverà i nostri problemi è una opinione legittima, se argomentata da idee. Sostenere invece che è inutile credere nella nostra autonomia perchè “non ce la daranno mai” è autolesionismo allo stato puro. Se il referendum si farà (deve ora pronunciarsi la Cassazione), costerà ad ognuno di noi un semplice SI.

di Silvano Martini

Dopo l’approvazione in Consiglio Provinciale a Belluno, l’iter che porterà i cittadini Bellunesi a chiedere il passaggio della Provincia di Belluno dal Veneto alla Regione Trentino-Alto Adige-SüdTirol è avviato e il referendum si farà.

Non mi sorprende la reazione, tra lo stupito e l’infastidito, che la decisione dei Bellunesi ha provocato tra gli amministratori e tra i cittadini delle Province Autonome di Trento e Bolzano Bozen-SüdTirol perché conosco bene queste realtà per avere, io, entrambi i genitori Trentini (valli di Non e Fiemme) e per il fatto che tutta la mia famiglia di origine e tutta la mia parentela vive in Trentino da sempre.

In questo senso, le affermazioni del Presidente della Provincia di Bolzano, Luis Durnwalder, che tratta la questione del referendum come una boutade dei Bellunesi o quelle più sfumate di Lorenzo Dellai, che pur nel rispetto delle realtà confinanti, considera inattuabile l’ipotesi dell’incorporazione del Bellunese nella Regione Trentino Alto Adige-SüdTirol, corrispondono in pieno alla necessità di questi ottimi amministratori di tutelare la speciale autonomia delle rispettive province.

Vorrei che fosse chiaro ai cittadini delle Province Autonome di Trento e Bolzano Alto Adige – Bozen SüdTirol che i Bellunesi chiedono il trasferimento ad altra Regione per sopravvivere. Non chiedono lo statuto speciale di Trento e Bolzano, ma un altro tipo di autonomia provinciale, non desiderano condividere le risorse economiche e finanziarie delle due provincie autonome confinanti e non intendono interferire, in alcun modo, sulla loro autonomia.

I bellunesi sono ricchi in proprio ed esigono solo i trasferimenti dello Stato di cui già sono titolari e le risorse del loro territorio che da decenni sono sottratte loro a vantaggio di altri. La provincia di Belluno non vuole privilegi ma necessita di poter decidere liberamente del proprio futuro.

I nostri amici del Trentino e del SüdTirol non temano, i cittadini Bellunesi non sono dei barboni che chiedono un posto alla mensa delle autonomie altrui ma vogliono poter decidere, in piena autonomia appunto, come, quando e in che modo usare le PROPRIE risorse.

La storia del Bellunese dimostra, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la mancanza di visione, progettualità e attenzione alla montagna, da parte della Regione del Veneto, sta portando questi luoghi e la gente che vi abita, alla rovina. Questo stato di cose deve finire. Ecco perché, Trentino e SüdTirol non devono aver paura per il risultato del referendum che non è uno strumento per ottenere altro se non la NOSTRA autonomia, l’autonomia della Provincia di Belluno.

La buona amministrazione delle Province Autonome di Trento e Bolzano Bozen-SüdTirol è un modello a cui noi guardiamo con interesse perché essa ha rispetto per il territorio e ne promuove le specificità con un occhio di riguardo alla ruralità e alla sostenibilità del proprio sviluppo.

Noi vogliamo che una Provincia di Belluno, autonoma e diversa, nella Regione Dolomiti, costituisse una risorsa e non un peso per la complessa realtà del territorio Dolomitico.

Siamo certi che con l’amicizia e la collaborazione che deve contraddistinguere i rapporti di buon vicinato e nel rispetto della storia dei nostri popoli ce la faremo.

Depositata la richiesta di referendum per il passaggio della provincia di Belluno alla Regione Trentino Alto Adige-Südtirol.

22 Gennaio 2011 Autonomia autonomia, belluno-autonoma, referendum-autonomia

La notizia ha avuto ampia eco sulla stampa ma meglio abbondare … (direttamente dal sito di Belluno Autonoma):


di Silvano Martini

La provincia di Belluno ha fatto oggi un altro passo del cammino verso l’autogoverno. Il presidente del consiglio provinciale, Stefano Ghezze, ha depositato stamane, presso l’Ufficio centrale per il Referendum costituito presso la Corte Suprema di Cassazione italiana in Roma gli atti con i quali il Consiglio Provinciale chiede di indire il referendum per il passaggio della provincia di Belluno alla Regione Trentino Alto Adige-Südtirol. Entro 30 giorni verrà data risposta per proseguire poi con l’iter istituzionale, completato il quale la parola verrà data ai cittadini Bellunesi.

Il presidente del Consiglio Provinciale Stefano Ghezze ha bene operato a dimostrazione che il consiglio provinciale, che ha votato a larghissima maggioranza a favore del referendum, incaricando proprio Ghezze di seguire le pratiche, ha ben riposto la sua fiducia.

Come ho avuto modo di dire, nel mio intervento in consiglio, sono e resto convinto che è venuto il tempo in cui noi cittadini delle diverse realtà della provincia di Belluno otterremo, attraverso lo strumento del referendum, una forma reale di Autonomia, una possibilità cioè di autogoverno che è indispensabile per non dover continuare a pagare sulla nostra pelle gli errori di chi non abita e non conosce il nostro territorio.

Leggi tutto l’articolo su Belluno Autonoma Dolomiti Regione.

Futuro del Cadore: patto o conferenza?

21 Gennaio 2011 Cadore - Dolomiti, Politica nostrana comune-unico, lavoro-occupazione, local-politik, sviluppo-montagna

19 novembre 2009 Nell’articolo la crisi occupazionale in Cadore “risolta” mettendo in mostra le professioni ad un certo punto il sottoscritto scriveva:

Che cosa bisognerebbe fare allora? Io ritengo che se si vogliono affrontare i problemi seri dell’occupazione in Cadore, tutti i Comuni dovranno allearsi in un Patto per il Cadore, in cui concentrare tutti gli sforzi con queste direttrici principali (in sintesi):

  • un coordinamento di alto livello con le associazioni di categoria;
  • lo sviluppo di soluzioni che abbiano come fine il rilancio dell’agricoltura di montagna (agro-stalle: di esempi cui attingere ce ne sono fin che amen);
  • la predisposizione e l’armonizzazione di energiche azioni di marketing turistico e del territorio che oggi sono pressoché inesistenti;
  • una forte spinta e sostegno allo sviluppo dell’accoglienza (conversioni ad affittacamere, b&b, albergo diffuso);
  • l’avvio di progetti pilota nella filiera del legno.

11 febbraio 2010 All’indomani della decisione della Marcolin di chiudere lo stabilimento di Vallesella e spostare tutto a Longarone il sindaco di Domegge scriveva (il link originale all’articolo sul Gazzettino sembra non funzionare, ma traggo dalla mia copia locale):

[…] Si chiama “patto per il Cadore” ciò a cui sta pensando il sindaco di Domegge, Lino Paolo Fedon, per dare nuovo slancio vitale del territorio. Per l´elaborazione convocherà, a stretto giro di posta, tutti i colleghi, i presidenti di Comunità montane, i sindacati, gli imprenditori della zona, «tutti coloro che possono offrire un contributo alla rinascita economico-produttiva del comprensorio». Il patto, una volta sottoscritto, sarà consegnato al nuovo presidente della Regione. […]

20 gennaio 2011 Un nuovo impeto di unitarietà dal Gazzettino di ieri:

[…] Una conferenza programmatica in nome dell’unità del Cadore, da Cortina a Sappada. A proporla è il sindaco di Lozzo, Mario Manfreda, che vuole discutere assieme ai colleghi del territorio le molteplici difficoltà che sta attraversando la montagna cadorina, a prescindere dall’idea di una sola Comunità montana. […]

Il sindaco distilla una perla di saggezza: “Anche un bambino capirebbe che è indispensabile mettersi insieme, se vogliamo mantenere i servizi e promuovere il territorio“. E’ con gradevole sorpresa che prendo atto che finalmente i nostri sindaci, che bambini più non sono, riconoscono l’ignavia che finora li ha costretti a razzolare nel cortile di casa (salvo, per qualcuno, razzolare in territori un po’ più vasti, ma solo per avere una seconda carica “sovracomunale”).

Conclusioni: se, oltre ai sindaci, come si evince dalla citazioni sopra riportate, anche un “povero falegname” come me si è reso conto dell’importanza di un “Patto per il Cadore” (o conferenza che sia), beh, forse è il caso di muoversi. Discutere non fa mai male, se si addiviene a qualcosa di concreto. Mi raccomando solo di cercare di attenersi alla regola “fatti, non pugnette“.

Riguardo al “Comune unico”, vera sfida da affrontare, la risposta è già stata data: «Al Cadore basta una sola Comunità montana che gestisca servizi collettivi importanti con efficienza. I Comuni, invece, devono continuare ad esistere autonomamente con una struttura snella e vicina ai cittadini. […]». Non avevo dubbi: per fare un “Comune unico” ci vogliono “le palle” e qui di sindaci “segaioli” ne vedo tanti, ma con le palle ancora nessuno. Tuttavia, a tutela della capacità visiva dei nostri primi cittadini, raccomando ancora “fatti, non pugnette“.

Della Comunità Montana unica cadorina (prima parte)

20 Gennaio 2011 Cadore - Dolomiti, Politica nostrana comune-unico, comunità-montana, local-politik, magnifica-comunità, sviluppo-montagna

Chiare fresche dolci acque. Ovvero la scoperta dell’acqua fredda.

Alcuni sindaci, non si è capito se a titolo personale o a nome di “tutta la comunità”, hanno recentemente espresso alcune opinioni (perché di opinioni si tratta) sulla possibilità di architettare una comunità montana estesa a tutto il Cadore (qui, qui e qui).

Hanno dato una giratina alla maniglietta del generatore automatico di frasi buone per tutte le occasioni e questo è quello che ne è uscito: “l’unione fa la forza”, “uniti si conta di più”, “mai più divisi”, “basta divisioni, ora bisogna lavorare assieme”, “bisogna iniziare a ragionare in termini comprensoriali”, “è ora di lasciare da una parte campanili e campanilismi” ecc. ecc..

Come non essere d’accordo. Sottoscrivo in toto. Ma il problema è, come sempre, un altro.

Le nostre galline (i sindaci) vorrebbero chiarirsi le idee per andare a parlare col contadino (Regione Veneto) che comanda il pollaio. Si tratta del riordino della normativa che dovrebbe tenere in vita le comunità montane (che siano 1, 2 o 3 ha, in questo caso, poca o nessuna importanza). Abbiamo 3 consiglieri su 60, neanche uno in giunta. Fine della storia.

Una CM per tutto il territorio cadorino potrebbe avere qualche chance in più? Ragionevolmente vero. Il contadino potrebbe cambiare il mangime attuale con uno che contiene un integratore vitaminico. Più latte e meno cacao. Rifine della storia.

La sfida vera (e seria) si dovrebbe giocare soprattutto sul fronte “interno” dove i risultati non dipendono dal contadino/regione. Lì si che i campanilismi si dovrebbero mettere da parte, non solo a parole. Sto parlando del comune unico, entità immaginifica, che potrebbe portare a reali benefici in termini di efficienza di spesa.

Fare una CM più vasta è un gioco da ragazzi. Mettere insieme due comuni “…so cazzi”, amari per giunta. Fatti, non pugnette. Provare per credere.

(Della Comunità Montana unica cadorina seconda parte)

(Della Comunità Montana unica cadorina: il canto del gallo (epilogo)

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